Verona 1985: Vivere una favola

PROLOGO

Che cosa ci fanno Platini e Maradona, Junior e Rumenigge, Falçao e Zico a bocca asciutta e con il naso all’insù a guardare come una provinciale gli soffia lo scudetto? Nel campiona­to più bello e ricco del mondo si impongono i muscoli pronunciati dei ragazzi di Verona, sorpren­dendo i critici che di calcio sanno morte e miracoli, che nei paginoni estivi pronosticano sempre Juve, Inter, Roma. Invece, come nei ro­manzi alla Agatha Christie, l’as­sassino è quello che non sospetti.

Il successo della banda Bagnoli parte da lontano, dalla promozio­ne in Serie A di qualche anno pri­ma, dalla conferma di squadra forte e divertente già al primo impat­to con i big del campionato, dalla continuità con il lavoro svolto, im­preziosito dall’entusiasmo del nuovo gruppo che portò a cambia­re gradualmente una formazione che, pur dando spettacolo e otte­nendo discreti risultati, rimaneva spesso vittima della propria ine­sperienza e di qualche inevitabile ingenuità. Ma la fretta, intesa come paranoia sportiva, è un concet­to che non si addice a una città tranquilla e riflessiva come Vero­na.

Proprio come quei silenzi del nasone imbronciato, Osvaldo Ba­gnoli, tecnico contrario a ogni esa­sperazione, a prima vista distante anni luce dal mondo del pallone. Ma anche gli anni della provincia, delle squadre forti loro malgrado, del Verona dei miracoli. Umile, lavoratore, che non corre dietro ai tanti idoli o divi di cui si nutrono le grandi piazze della Penisola. Rosa corta, titolari eclettici, duttilità tat­tica, logica o parsimonia societaria che dir si voglia. Come punto di partenza non è male per chi fa del-l’arte di sapersi arrangiare un equilibrato modo di vita.
Celesti­no Guidotti, presidente dalle ca­pacità finanziarie asincrone rispetto ai colleghi che puntano in alto, diede, con l’aiuto del Ds Mascetti, i ritocchi giusti a una squadra già ben costruita negli anni. Nes­suna spesa folle, rigore sulle esi­genze del disegno tattico di Ba­gnoli e tanti stimoli da distribuire tra giocatori con la giusta voglia di riscatto e di affermazione.

L’ALCHIMISTA OSVALDO

Gli arrivi di Briegel ed Elkjaer e delle giovani promesse Marangon, Donà e Turchetta furono tesi a dare esperienza, di­namicità e solidità tecnico-atleti­ca. Completamento più che rivo­luzione. Elkjaer, bomber poten­te, arrivò a sostituire il folletto Iorio, passato alla Roma, diven­tando il completamento dell’altro attaccante Nanu Galderisi, pic­coletto imprevedibile negli ultimi sedici metri. Il bisonte danese, accreditato dalle buone stagioni in Belgio e dai gol segnati con la sua Nazionale, divenne ben pre­sto l’idolo di Verona. Fu strappa­to alla concorrenza di società co­me Real Madrid e Milan grazie ai blitz dell’amministratore Rangogni, quando per il centravanti vicecannoniere agli Europei, sen­za l’acume manageriale e il tem­pismo, si sarebbe scatenata una vera e propria asta al rialzo. Biz­zarro, a volte incostante, ma tra­volgente come la sua falcata e i suoi tiri che ricordavano le gesta di Gigi Riva. Anche la sua fama di provocatore un po’ sbruffone fuori dal campo, con i suoi «Pas­serò alla storia», lo rese un protagonista particolare delle pagine dei giornali; ma in campo, dove si trasformava, era l’esempio della grinta e dello spirito di squa­dra. Il suo portamento alquanto sgraziato, da lavoratore stanco a fine giornata, sa­ranno sempre l’immagine di quel meraviglioso Verona.

«Piedi grossi e cervello fino» si diceva per gli uomini pratici e onesti, e nessuna definizione rende più giustizia al tenebroso Bagnoli. Al­lenatore per caso, uomo semplice ma dalle idee chiare, ex giocatore a tutto campo, ostile alle parole for­tuna e sfortuna, sincero come un bicchiere di Pinot. L’unica circostanza fortunata, ammise lui stes­so, fu la scelta di diventare allena­tore. Un uomo normalissimo, dunque. Anche nelle scelte di campo. Molti lo chiamavano «Lo svizzero» per la meticolosità e la precisione con cui studiava ogni dettaglio tat­tico, per come preparava la partita. E anche il suo atteggiamento sulla panchina, pronto a sfuriare e a col­pire ogni oggetto alla sua vista, lo rendeva semplicemente se stesso, gustoso come il Sangiovese e la piadina che i suoi gusti culinari avevano avuto in eredità dall’espe­rienza cesenate.

Si è costruito tec­nicamente in realtà adatte alla sua personalità come Como, Fano, Rimini e Cesena, appunto, ma il suo grande amore professionale il Settore giovanile, la Primave­ra del Como, dove l’ambiente ri­corda i sacrifici per diventare qual­cuno, quando a fine allenamento bisogna fare la coda per lavare le scarpe nei lavandini. È arrivato a Verona dopo la promozione in A col Cesena, anche sulle sponde dell’Adige il diritto alla massima serie. Poi il campio­nato ’83-84 con il meritato ingres­so in Coppa Uefa. affidava alla miscela di esperienza dei due stra­nieri, di Volpati, Marangon, Tricella alla voglia di affermarsi di Di Gennaro, Bruni, Galderisi. alle tante motivazioni di questi gio­catori si aggiungono la “rabbia” di Pierino Fanna, Fontolan del portierone Garella, i risulta­ti, a un’attenta analisi, non sono un caso.

OGNI TESSERA AL SUO POSTO

Lo scacchiere tattico e il mo­dulo di gioco si inseriscono per­fettamente nel calcio “all’italia­na “, sulla scia della disposizione in campo della Juventus o della Nazionale: un libero portato a co­struire il gioco, marcatori arcigni e attaccati ai garetti, terzino flui­dificante, un centrocampo abile nella rottura e nella manovra, un tornante di raccordo tra i reparti e due punte dalle caratteristiche tecnico-atletiche dissimili. Impo­stata così, la formazione scalige­ra aveva una grande forza d’impatto nel ribaltamento dell’azio­ne, soprattutto con le fughe in contropiede di Fanna e Briegel e gli sganciamenti improvvisi di Tricella. Ma in occasione di par­tite contro avversarie più deboli, soprattutto al “Bentegodi”, il Ve­rona era in grado di schiacciare gli avversari nella loro metà cam­po evidenziando le capacità tec­niche dei singoli.

Decisivo, per gli schemi della squadra, fu l’in­serimento del tedescone Briegel, esuberante jolly dal passo di loco­motiva, poderoso negli stacchi aerei e soprattutto instancabile fa­ticatore. Continuo nel rendimen­to, sapeva adattarsi alla rudezza dei ruoli richiesti dalla difesa e al­le giocate da attaccante aggiunto. Sinistro preciso, nonostante una tecnica individuale non proprio sopraffina, senso innato della po­sizione e propensione al gol lo fa­cevano un giocatore completo e invidiato a Bagnoli da tutti i tec­nici.

“Turbo” Fanna doveva ri­scattare la sua esperienza luci e ombre a Torino, determinata pro­babilmente dalla frenesia con cui voleva imporsi a tutti i costi. A Verona, in una città calda ma di­screta, poteva ripartire da zero e ritrovare l’entusiasmo, tornando a svariare sulle fasce facendo am­mattire i terzini di tutto il campio­nato. Il gruppo storico (Volpati, Tricella e Di Gennaro), garanti­va solidità ed equilibrio nello spogliatoio. L’erede azzurro di Scirea, il ca­pitano Tricella, era il pun­to di riferi­mento della squadra e del­l’allenatore. Ele­gante, la faccia pulita da studente, mingherlino e timi­do, non dava apparentemente l’impressione di poter essere un lottatore. Fu uno scarto dell’Inter, ma già dalla prima stagione in gialloblu dimostrò di saperci fare: quel suo fisico da ragazzino in via di sviluppo era solo uno scherzo ai più scettici.

Un allena­tore ha sempre un uomo in cam­po su cui fare affidamento, un giocatore che “legge” le partite meglio e prima degli altri, che du­rante la settimana tiene unito il gruppo. Domenico Volpati era tutto questo. E non a caso, l’asse difesa-centrocampo era affidato al duo Tricella-Volpati, giusta dose di valori tecnici e tempera-mentali, guida della squadra nei momenti di difficoltà. Alternava, a seconda delle esigenze (l’infor­tunio a Sacchetti), il ruolo di cen­trocampista di interdizione a quello di difensore puro, garan­tendo comunque un altissimo rendimento.

Le critiche iniziali a Bagnoli, per l’insistenza con cui utilizzava il trentaquattrenne, suo dichiarato “pallino”, si dimostra­rono senza alcun fondamento. Le traiettorie impossibili e i colpi di genio sono da sempre prerogative dei grandi numeri 10. A Verona, la fantasia e l’essenza del pallone sono tutt’uno col nome di Anto­nio Di Gennaro, regista dal cal­cio sopraffino e dalla bordata im­prevedibile. Il miglior centrocam­pista di quel campionato, nazio­nale inamovibile, assicurava l’im­prevedibilità e le geometrie ne­cessarie per mandare in gol il fol­letto Galderisi e l’ariete Elkjaer. Toscano irriverente e istrione, au­tore di scherzi da spogliatoio, ma pronto a tornare coi piedi per ter­ra con i suoi occhi profondi e lo sguardo intenso di chi fa vedere che ha già capito tutto.

VIVERE UNA FAVOLA

Fra i giocatori gialloblu c’era un furetto che il tricolore se l’era cucito sulla maglia già due volte a Torino con la Juventus. Giuseppe Galderisi, un metro e settanta di grinta e tecnica che gli permisero di “timbrare” il cartellino del gol undici volte: in acrobazia, di de­stro, di sinistro, su rigore e, udite udite, con bellissimi gol di testa. Rapido, di grande coraggio agoni­stico, Nanù si impose grazie all’u­miltà che già ai tempi della Juve lo aveva reso protagonista in un gruppo di mostri sacri, combatten­do e sgusciando tra difensori spesso rudi e spro­porzionatamente grandi ai suoi occhi.

Ma per una volta, anche Galderisi si sen­tiva protetto in campo, perché un bisonte, con cui poter divide­re gol e botte, questa volta era il suo compagno di reparto. Ra­gazzo simpati­cissimo, appas­sionato di musi­ca leggera, inci­se anche alcune canzoni ispiran­dosi a Renato Zero. In partico­lare, la canzone “Sto correndo” (uscita dopo la sconfitta con il To­rino) gli fu sicuramente di buon auspicio, e chissà se in quella me­lodia la fine della corsa non fosse proprio il traguardo tricolore.

IL CAMPIONATO: SCACCO AL RE

L’avventura ebbe inizio il 16 settembre dell’84, con il 3-1 inflit­to al Napoli di re Diego. «Siamo partiti col piede giusto» sentenziò il modesto Bagnoli. Ma forse l’i­dea di allenare una grande squadra lo investì da subito. Da allora, la bandiera del Verona sarà sempre sul punto più alto del campionato, garrendo per tutti i trenta turni.
Si alterneranno come antagoniste tut­te le grandi e qualche outsider: dall’Inter al Torino, dalla Sampdoria alla presenza sempre in­quietante della Juventus. Dopo Maradona, un’altra partita di car­tello a Verona sarà con i campioni d’Italia di Platini: Galderisi-Elkjaer e la Vecchia Signora esce dal “Bentegodi” lasciando un ipo­tetico passaggio di testimone.

Ma è ancora mol­to presto per immaginare il futuro. La tra­sferta a Torino, sponda granata, rivela la forza dei gialloblù, che pur pre­sentando una formazione rima­neggiata sbancano il “Comunale” con Briegel e Marangon dopo il momentaneo pareggio di Dossena, rivale di Di Gennaro per il ruolo di regista in maglia azzurra. La prima sconfitta arriva l’ultima di andata, a casa di una pericolan­te, l’Avellino, che aiutata da un campo al limite della praticabilità e dalle assenze di Galderisi ed Elkjaer si impone su uno spento Verona.

Si chiude il girone d’an­data col Verona primo, grazie ai soli sei gol subiti, ma l’Inter è pronta, a due sole lunghezze, per l’aggancio. Ogni annata storica ha la sua partita epocale, soprattutto se è una sfida molto sentita come Udinese-Verona. Sopra di tre gol, i ragazzi di Bagnoli si fanno rag­giungere da Zico e compagni e il campionato sembra poter sfuggire come il pallone dalle mani di Garella, che non ne prende una. Ma qui viene fuori l’esperienza e la maturità del gruppo, la voglia di andare contro il destino e gli erro­ri, e la coppia straniera venuta dal Nord porta il punteggio sul 3-5. L’Inter pareggia ad Avellino e il Verona torna solo in vetta alla classifica. Siamo alla diciottesima, alla prossima il “Bentegodi” ospi­ta la partitissima con i nerazzurri.

La mattina del 17 febbraio, sei giocatori del Verona hanno la feb­bre. Tutto volge al peggio. In quel­le condizioni, Bagnoli chiude la saracinesca alla porta di Garella impostando una partita di conteni­mento. «È la fine» pensano in molti, quando al 39′ Altobelli por­ta in vantaggio la formazione ne­razzurra. Tutti negli spogliatoi alla fine del primo tempo a recuperare forze e a bere litri di the caldo. E proprio uno degli influenzati, l’in­distruttibile Briegel, diventa im­prendibile per i nerazzurri e in tuffo di testa pareggia. Udine e la Supersfida con l’Inter avevano da­to qualche segnale di cedimento, ma la prova di maturità dei ragaz­zi di Verona giunge a Torino con­tro la sempre temibile Juventus, dove un grandissimo gol di Di Gennaro pareggia la rete di Briaschi. Bagnoli è in silenzio stampa, ma c’è già chi giura che alla fine sarà lui a poter dire l’ultima.

Il Ve­rona è sempre primo e gioca vera­mente molto bene. E anche quan­do si gioca male e si vince, qual­cosa entra nella testa delle avver­sarie, e chissà che cosa hanno pen­sato le inseguitrici vedendo la risi­cata vittoria casalinga del Verona contro la rimaneggiata Roma. Un Fanna incontenibile, che fa la differenza, e un Elkjaer opportuni­sta, chiudono la sofferta partita. A Firenze, il Verona torna ai suoi standard di rendimento e di gioco, con uno strepitoso Galderisi che ne fa due e regala il 3-1 ai suoi. Anche Bagnoli torna a parlare. Se non è un segno questo…

Inatteso e preoccupante arriva il secondo sci­volone stagionale, in casa contro il Torino di Serena e Schachner. Ora le inseguitrici sono a meno quattro e domenica San Siro rossonera aspetta i gialloblù. È uno 0-0 all’antica, con la squadra chiusa e pronta alla rimessa, degna di una provinciale assatanata in cerca di punti salvezza. Non essere la Ju­ventus o l’Inter è quel vantaggio più o meno consapevole che ti dà la possibilità di poter cambiar pel­le a seconda delle partite e delle esigenze senza che nessuno gridi allo scandalo. Il gioco brioso si è perso un po’ per strada, ma la squadra tiene botta con la vittoria sulla Lazio e il pareggio casalingo con il Como. A Bergamo il sogno si fa realtà con una giornata di an­ticipo, e già plana sugli stadi delle grandi d’Europa a chiedere l’ospi­talità accreditata di solito alle for­mazioni di metropoli ancora a chiedersi «Ma come hanno fat­to?».

MOMENTI DI CURVA

Tutti i protagonisti di quel Ve­rona hanno avuto il giusto ricono­scimento esaltando le fantasie dei tifosi, che non hanno lasciato cadere la pos­sibilità di sbizzarirsi con i so­prannomi e gli appellativi; così Galderisi diventò “puffo al tritolo”, Elkjaer “il cenerentolo” per via del gol segnato (perdendo la scarpa) alla Juventus, Fontolan “la quercia”, Garella “Garellik” e Ferroni “il gladiato­re”. Con una squadra dalla tale presentazione, le avversarie non potevano che rimanere imbarazza­te coi loro nomi troppo scontati per essere all’altezza e per far so­gnare. Anche il pubblico ha dato il suo contributo con le coreografie colorate e le feste, le trasferte di massa e i bandieroni presenti in tutti gli stadi. Ovunque (un club di tifosi a Beirut!) il gialloblù ha fat­to proseliti, portando in giro per l’Italia la “matana”, la cosiddetta follia veronese, coraggiosa nella sua saggezza, con quel sospetto di indifferenza e di fine teatralità che ne ha fatto un’originale esordiente del successo.

UN RAPIDO DECLINO

Ma le vicissitudini del calcio scaligero, smaltita la sbornia scu­detto, saranno contraddistinte più da ombre che da luci; soprattutto non si raggiungeranno più traguar­di tanto ambiziosi come nell’85. I quattro campionati successivi so­no vissuti in un anonimo centro della classifica; sotto la presidenza Chiampan (subentrato nel frat­tempo a Guidoni), le scelte socie­tarie si rivelano sbagliate: ingaggi favolosi e spese folli. Come si di­ce, il Verona fa il passo più lungo della gamba, mangiandosi i ricavi dello scudetto e della Coppa dei Campioni. Gli Anni 90 sono un calvario terribile, per i gialloblù. Arriva la retrocessione in Serie B, la società è allo sbando, le rivolu­zioni tecniche creano destabilizzanti perdite di identità, Verona è la brutta copia di se stessa. Ma la battaglia più dura è tra avvocati, giudici e documenti, quando il Tri­bunale di Verona decreta il falli­mento della società e nel 1992 Chiampan è raggiunto da un ordi­ne di custodia cautelare. E’ la fine dell’epopea scudetto, ma il sogno del calcio a Verona resterà sempre vivo sino ai giorni nostri.

TUTTI I GOL DELLO SCUDETTO

LE TRENTA GIORNATE DI VERONA

VERONA – Napoli 3-1 (Briegel, Galderisi, Di Gennaro)
Ascoli – VERONA 1-3 (Di Gennaro, Briegel, Elkjaer)
VERONA – Udinese 1-0 (Galderisi (rig.))
Inter – VERONA 0-0 (-)
VERONA – Juventus 2-0 (Galderisi, Elkjaer)
Roma – VERONA 0-0 (-)
VERONA – Fiorentina 2-1 (Moz (aut.), Galderisi)
Cremonese – VERONA 0-2 (Galderisi (rig.), Briegel)
VERONA – Sampdoria 0-0 (-)
Torino – VERONA 1-2 (Briegel, Marangon L.)
VERONA – Milan 0-0 (-)
Lazio – VERONA 0-1 (Podavini (aut.))
Como – VERONA 0-0 (-)
VERONA – Atalanta 1-1 (Bruni)
Avellino – VERONA 2-1 (Marangon L.)
Napoli – VERONA 0-0 (-)
VERONA – Ascoli 2-0 (Galderisi, Sacchetti)
Udinese – VERONA 3-5 (Briegel, Galderisi, Elkjaer, Elkjaer, Briegel)
VERONA – Inter 1-1 (Briegel)
Juventus – VERONA 1-1 (Di Gennaro)
VERONA – Roma 1-0 (Elkjaer)
Fiorentina – VERONA 1-3 (Fontolan, Galderisi (rig.), Galderisi)
VERONA – Cremonese 3-0 (Di Gennaro, Elkjaer, Briegel)
Sampdoria – VERONA 1-1 (Galderisi)
VERONA – Torino 1-2 (Briegel)
Milan – VERONA 0-0 (-)
VERONA – Lazio 1-0 (Fanna)
VERONA – Como 0-0 (-)
Atalanta – VERONA 1-1 (Elkjaer)
VERONA – Avellino 4-2 (Fanna, Garuti (aut.), Galderisi (rig.), Elkjaer)

I PROTAGONISTI

GiocatorePresenzeGol
TRICELLA30
GARELLA30
VOLPATI30
MARANGON L.292
DI GENNARO294
FANNA292
GALDERISI2911
FONTOLAN281
BRIEGEL279
BRUNI271
ELKJAER238
FERRONI M.20
TURCHETTA16
SACCHETTI151
DONÀ12
MARANGON F.3
SPURI1