Napoli – Fiorentina: Incroci scudetto

Molte le belle partite tra Fiorentina e Napoli: i gigliati nell’anno del loro primo scudetto colsero contro i partenopei una delle loro più esaltanti vittorie con Bernardini in panchina e i fuoriclasse Julinho e Montuori in campo. Poi Pesaola fece ancor meglio…

Siamo il 31 dicembre 1955, la Fiorentina doveva giocare contro il Napoli sul campo neutro di Roma, avendo il campo al solito «squalificato» per certe esuberanze dei suoi pittoreschi tifosi. I viola di di Bernardini non erano ancora decollata verso il titolo per certi scompensi iniziali che rendevano perplessi i critici e gli stessi tifosi toscani. Eppure, era una squadra formidabile. In difesa, davanti a Giuliano Sarti, uno dei più grandi portieri che il calcio italiano abbia mai espresso (la sua folgorante carriera continuò, poi, nell’Inter di Moratti: e Sarti, il «portiere di ghiaccio», divenne leggendario in tutto il mondo), giocavano Ardico Magnini e Sergio Cervato, due terzini formidabili. Potente e sicuro, dalla taglia atletica eccezionale il primo; scattante e dotato di un rinvio eccezionale il secondo. Fra i due Rosetta, centromediano elegante e fine nel gioco, quanto inesorabile nel marcamento. Ai lati Beppone Chiappella, inesauribile stantuffo di centrocampo, e lo sfortunato Armando Segato, tecnico e fine, dotato di uno stile limpidissimo.

Julinho

Poi, l’attacco: una sciccheria! Ala destra Julio Botelho, detto Julinho, brasiliano, forse la più completa ala che il calcio mondiale abbia mai avuto. Julinho aveva dato vita a Firenze ad un elegante «caso» giudiziario. Allora si potevano tesserare soltanto giocatori oriundi, e Bernardini, che di Julinho si era innamorato vedendolo giocare nelle file del Brasile ai Mondiali del 1954, pretese che la Fiorentina lo acquistasse. Il solito faccendone trovò il modo di aggirare l’ostacolo del veto agli stranieri. Si recò nello sconosciuto Comune di Stazzemo, dove scovò (pagandolo profumatamente) un documento comprovante che certo Betelli era emigrato in Brasile alla fine dell’800. E in Brasile aveva ritoccato il cognome, portoghesizzandolo, in Botelho. Insomma: era il nonno, italiano, del famoso Julinho. E Julinho fu della Fiorentina. Senonché, non era vero un bel niente. Betelli era sì, emigrato in Brasile, ma non aveva la minima parentela col vero nonno di Julio Botelho, di origine india (!), per cui la Fiorentina fu trascinata in tribunale, sotto l’accusa di truffa. I dirigenti viola poterono tuttavia provare la loro buona fede e furono assolti per insufficienza di prove.

Ne passò delle belle anche la Federcalcio, accusata di «connivenza» con la società viola e ci fu un gran polverone: polemiche, accuse, controaccuse. Poi tutto si risolse all’italiana: il veto agli stranieri fu prontamente rimosso e Julinho poté tranquillamente giocare nel nostro campionato. Per la gioia dei tifosi che poterono cosi ammirare uno del più grandi campioni di tutti i tempi. Pochi calciatori europei, nel ruolo di ala, hanno mai uguagliato la classe e il rendimento di Julinho; il solo brasiliano Garrincha, molti anni dopo, poté reggerne il confronto. Ovviamente, non era il solo, l’asso brasiliano, a fare grande l’attacco dei viola. C’era anche Miguel Montuori, lo sfortunato argentino naturalizzato cileno, ma di autentica origine italiana (era figlio di un povero pescatore di Sorrento, emigrato in Argentina agli inizi del secolo), interno di punta di eccezionali qualità.

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Giuseppe Virgili

E il centravanti era «Pecos Bill», al secolo Giuseppe Virgili, un ragazzotto friulano forte come una roccia che segnava a ripetizione (in Nazionale, divenne celebre per aver demolito, a furia di gagliarde pedate, il temutissimo stopper della Germania campione del mondo nel ’54, l’arcigno macellaio tedesco Liebrich, quello che, a Berna, aveva fatto fuori il grande Puskas brutalizzandolo indecorosamente. Virgili tante gliene diede da costringerlo ad andarsene prima della fine…). L’altro interno era «Ciccio» Gratton, un veneto di straordinaria mobilità, mentre all’ala sinistra giocava Prini: un modesto, al confronto con i più celebrati compagni di squadra, ma utilissimo al gioco di Bernardini. Perché il «poeta» di Bogliasco, già allora, teneva Prini nelle retrovie, a dare manforte alla difesa, in una figura di gioco che poi sarebbe stata adottata da tutte le squadre, pur passando, Bernardini, per un offensivista puro (diversi anni dopo, Fulvio doveva farla in barba al mago Herrera schierando Capra finta ala sinistra nel Bologna dello scudetto…). Insomma: una grandissima squadra!

La partita fu uno spettacolo da capogiro. Il Napoli schierava un complesso niente male. Questo: Bugatti; Comaschi, Posio; Ciccarelli, Tre Re, Granata; Vitali, Beltrandi, Jeppson, Vinicio, Pesaola. La Fiorentina era in formazione tipo, cioè: Sarti; Magnini, Cervato; Chiappella, Rosetta, Segato; Julinho, Gratton, Virgili Montuori, Prini. Arbitro un «grande» dell’epoca, il torinese Liverani. Fu una sagra del gol. Montuori andò a bersaglio due volte, imitato da Virgili, che umiliò Bugatti (che pure era portiere di grandi qualità, ampiamente confermate nell’Inter) con un’ altra doppietta, mentre il Napoli rispose con la guizzante ala destra Vitali, un bel giocatorino di Parma che conobbe anche l’onore della maglia azzurra, e con un calcio di rigore poderosamente trasformato da Jeppson, il famoso svedese, il primo pazzesco ingaggio del nostro calcio. Perché il comandante Lauro, presidente del Napoli, lo aveva acquistato sborsando ben 75 milioni (di allora) all’Atalanta, più 30 milioni al giocatore. E Jeppson, detto «O Banco ‘e Napule» dal popolino, si portò sempre appresso l’etichetta di «Centocinque milioni».

Pesaola e Chiappella, rivali prima in campo e poi in panchina

Umiliato a Roma il Napoli si rifece in parte pareggiando nel ritorno a Firenze per zero a zero; ma ormai la grande Fiorentina aveva accumulato un pingue vantaggio sul Milan, l’unico avversario: e chiuse il campionato con una sola sconfitta (ultima giornata, sul campo del Genoa, arbitro Jonni di Macerata, quel giorno non in forma perfetta…) e con ben 12 punti di vantaggio sui rossoneri, forti di Schiaffino, Ricagni, Nordhal, Buffon, Liedholm…E ancora il Napoli nella seconda, entusiasmante vicenda dei viola, campioni d’Italia nel ’68-’69. Bruno Pesaola, brillantissimo come giocatore d’ ala nel Napoli (il Petisso fu veramente un campione, veloce, furbo, buon tiratore, tattico consumato), era passato da tempo nel rango dei tecnici ed era approdato a Firenze, dopo vicende ancora oggi misteriose. La Fiorentina aveva cercato di assicurarsi Helenio Herrera, già consacrato alle glorie mondiali dell’Inter, ma ci fu un inghippo che mandò tutto all’aria (e H. H. alla Roma). I dirigenti fiorentini si incontrarono col mago argentino al casello di Casalecchio di Reno dell’Autostrada, a notte fonda, per un colloquio segreto. Tanto segreto che, non si sa come, la mattina successiva tutti i giornali fiorentini pubblicarono la notizia con grande rilievo. Ci fu gazzarra, Herrera pare ne fosse molto seccato e dirottò sulla Roma. Improvvisamente, la Fiorentina prelevò Pesaola dal Napoli che, al suo posto, aveva già sistemato Chiappella, licenziato qualche tempo prima dalla stessa Fiorentina…

Pesaola vinse lo scudetto alla sua prima stagione in viola, battendo per due volte il «suo» Napoli. A Firenze, l’8 dicembre del 1968, con Chiappella squalificato che occhieggiava dal sottopassaggio, esultante dopo i primi 45 minuti, chiusi con il Napoli in vantaggio per un gol di Canè. All’intervallo, Pesaola prese una fulmineo decisione: fuori il lunatico Chiarugi, Rizzo ala, Merlo interno, Esposito inserito in mediana. Un trionfo: segnarono Amarildo e Rizzo in un tripudio di stendardi viola… Clamoroso anche il match di ritorno, a Fuorigrotta: Chiappella era stato esonerato, la squadra affidata al modesto Egidio Di Costanza, grande amico di Pesaola, al quale si diceva chiedesse consigli, per telefono, alla vigilia delle partite del Napoli al suo amicone, divenuto fiorentino. Sta di fatto che i viola fecero impazzire i napoletani, con un Rizzo imprendibile (e sommariamente marcato a zona… forse su consiglio di Pesaola), che segnò due gol entusiasmanti, più un terzo ad opera di Maraschi. Poco dopo fu lo scudetto di Baglini e Pesaola.