Serbia: tifo e politica tra violenze e turbofolk

Nei Balcani i campi di calcio sono campi di guerra, tra politica, malavita e corruzione. Il ruolo degli hooligans nella dissoluzione della Jugoslavia.


“Il calcio, considerato obiettivamente, è una delle più strane costanti di comportamento umano della società moderna. Spinto da questa considerazione ho deciso di fare le mie indagini. E mi è stato subito chiaro che ogni centro di attività calcistica, ogni football club, è organizzato come una piccola tribù, completa di territorio tribale, anziani della tribù, stregoni, eroi: entrando nei loro domini mi sono sentito come un esploratore del passato intento a esaminare per la prima volta una vera cultura primitiva…”
La tribù del calcio (Desdmond Morris, 1981)

Se il calcio è in qualche modo lo specchio della società, nei Balcani c’è sicuramente qualche problema. Due episodi si sono verificati tra settembre e ottobre 2009 in Serbia e in Bosnia Erzegovina, due tifosi sono morti uccisi dai fans, due giovanissimi, il francese Brice Taton (28) e il sarajevese Vedran Pulic (24), cessano di vivere e diventano due icone, due foto in primo piano esposte nei rispettivi stadi, nei blog e forum in internet, sulle magliette, con sotto la scritta R.I.P.

Come è potuto succedere? Cosa significa? Si dice sempre che il primo atto della guerra tra Serbia e Croazia avvenne durante una partita mai giocata tra Dinamo Zagabria e Stella Rossa di Belgrado, ormai simboli di un’identità nazionale più che calcistica. Il calcio del capitano della Dinamo Zvonimir Boban, ad un poliziotto (che rappresentava il potere, quindi i serbi) in difesa dei tifosi croati, fu il primo atto eroico della guerra che seguirà. Secondo Simon Kuper nel calcio “Lo spazio resta allo stesso tempo spazio pubblico e luogo di dissenso. I simboli e le bandiere del calcio sono la maschera sotto la quale si celano talvolta identità segrete e incontrollabili”. Nei Balcani questo vale ancora di più.

Il 17 settembre 2009 si giocava a Belgrado la partita valida per la coppa Uefa Partizan – Tolosa. Un gruppo di ragazzi francesi era andato nella capitale serba per fare un po’ di vacanza. Belgrado, si sa, è famosa per la vita notturna e il divertimento. In un bar in pieno centro, il giorno della partita, vengono attaccati da un commando di tifosi del Partizan che arriva con premeditazione e ben armato, mazze di ferro e da baseball. Si accaniscono su uno dei francesi Brice Taton (28 anni) che morirà 12 giorni dopo in seguito alle ferite.

L’incidente avviene a pochi giorni dal “Belgrade pride”, la prima gay parade dopo quella disastrosa del 2001 che finì con molti feriti in seguito all’attacco di ultra-nazionalisti e hooligans e all’inerzia colpevole della polizia. Il pride avrebbe dovuto svolgersi il 20 settembre a Belgrado, ma il 19 settembre gli organizzatori ne hanno proclamato la cancellazione poiché il governo ha dichiarato che non avrebbe potuto garantire la sicurezza per il suo svolgimento nel centro cittadino. Nelle settimane erano cresciuti gli allarmi dovuti a graffiti e alle dichiarazioni che annunciavano bagni di sangue firmati da tifosi e alcuni gruppi cosiddetti “patriottici” (1). L’attacco ai francesi ha dato la spallata finale alla decisione del governo serbo che si era impegnato con gli organizzatori del pride più per entrare in Europa che per convinzione.

La morte del giovane francese il 29 settembre, seguita ad altri episodi di attacchi a cittadini stranieri nei giorni successivi a quella fissata per il gay pride suscita un’ondata di disgusto e di tristezza in Serbia, migliaia di cittadini sono scesi in piazza a protestare contro la violenza degli hooligans. Molti hanno avuto un flashback: le violenze di regime da una parte e le prime manifestazioni contro Milosevic dall’altra (2).

Allo stesso tempo la risposta dello stato è dura, subito identificate e arrestate 11 persone coinvolte nell’omicidio di Taton (tutti tra i 18 e i 22 anni e uno di 27), mentre il presunto mandate (conosciuto come trafficante di droga di alto livello) è fuggito in Olanda. L’accusa ha chiesto 40 anni di carcere ciascuno e la procura generale della Repubblica ha ordinato la chiusura di 14 gruppi registrati, 3 della Stella Rossa, 6 del Partizan e 4 del Rad.

Chi sono gli hooligans?In tutta la Serbia ci saranno circa 2000 ultrà – spiega Vuk Cvijic cronista del Blic che ha seguito le vicende di queste settimane per il giornale serbo – 1000 di questi hanno già avuto problemi con le autorità”. I più violenti sono quelli delle due squadre maggiori, il Partizan e la Stella Rossa, e di una squadra minore sempre della capitale serba, il Rad conosciuto per avere una tifoseria con simpatie neonaziste.
Le ideologie però non sono così importanti “Da qualche anno ha preso piede negli stadi una nuova generazione di tifosi – racconta Cvijic – i cui capi hanno 25 anni e sono quelli più vecchi. Sono ragazzini che sono cresciuti sotto le sanzioni della Serbia di Milosevic, erano abbastanza grandi per i bombardamenti e nel dopo-regime si sono trovati senza prospettive”.

L’unica idea a cui attaccarsi diventa quindi la squadra del cuore e il gruppo che si crea allo stadio da una parte, mentre dall’altra quella di fare abbastanza soldi per comprarsi belle macchine, vestiti firmati e fare la bella vita negli “splav” le discoteche sulla Sava e sul Danubio dove si suona uno dei prodotti più tipici degli anni novanta in questo paese, il “turbo-folk” (3). “I gruppi dei tifosi diventano in pratica delle bande malavitose che si occupano di spaccio e di racket”. I “Grobari” (becchini) tifosi del Partizan si occupano principalmente di vendere droga, mentre i “Delije” (eroi) si occupano dei locali, chiedono soldi oppure semplicemente si presentano in gruppo bevono, si comportano in maniera minacciosa in perfetto stile gangster, senza pagare ovviamente.

“Entrare nel clan però non è automatico – racconta Cvijic – i più giovani devono dimostrare di sapere entrare in azione all’occorrenza. C’è una sorta di prove di forza da passare prima di accedere ai privilegi del gruppo: l’attacco ai francesi era una di queste prove probabilmente sfuggita di mano”.
Non solo, i tifosi hanno un’influenza determinante nella politica della squadra, sono presenti nel consiglio di amministrazione dei club ma soprattutto utilizzano la sottile minaccia fisica costante di un gruppo di uomini che si può muovere come un commando.

E avere influenza sulla politica della squadra significa avere influenza su una notevole fabbrica di soldi esentasse, poiché il livello di corruzione del calcio serbo è conclamato: dalle partite truccate alla compravendita dei giocatori con “doppio prezzo”, alla corruzione portata dai procuratori dei giocatori (4). “Nel 2004 – dice un giornalista sportivo che preferisce rimanere anonimo – il direttore tecnico della Stella Rossa Dragan Džajic, leggenda dei biancorossi, la “terza stella” del calcio serbo, si dimette ufficialmente per motivi di salute. Guarda caso pochi mesi prima i “Delije” avevano chiesto la sua testa per l’eliminazione dalla coppa Uefa”.

“Si è scritto abbastanza degli hooligans – dice Kuper in “Calcio e Potere”– ma ci sono dei tifosi più pericolosi”. Come spiega Alberto Piccinini nella introduzione al volume di Kuper, “ La tentazione dei regimi autoritari è da sempre quella di utilizzare il calcio come macchina di consenso” (5).

Anche gli hooligan in Serbia non sono mai solo corruzione e malavita, a partire dalla fine degli anni Ottanta inizio Novanta sono entrati con frequenza nelle vicende politiche della dissoluzione della Jugoslavia. L’etnologo serbo Ivan Colovic, che da sempre studia la nascita dei nazionalismi in questa parte del mondo, nel suo “Campo da calcio campo di guerra” (Mesogea 1999) spiega come la retorica nazionalista si sviluppa e si articola nelle tifoserie e i primi scontri interetnici sono le violenze allo stadio tra squadre croate e squadre serbe.

Željio Ražnatovic detto Arkan, è il capo dei Delije nei primissimi anni Novanta, a lui si darà il merito di disciplinare la tifoseria della Stella Rossa, ma sarà anche dalle file degli hooligan che prenderà i primi volontari per le sue “Tigri” un gruppo di paramilitari serbi tra i più sanguinari nella guerre di Bosnia e Kosovo (6).
Secondo Cvijic però i seguaci di Arkan erano una parte minoritaria del tifo: “Le curve della Stella rossa e del Partizan erano tradizional- mente contro Milosevic, Arkan ha provato a portarle con tutti i mezzi dalla parte di “Slobo”, ma ha perso la battaglia e pochi anni dopo è partito dagli stadi il primo slogan contro il presidente serbo: ‘Fai un favore alla Serbia Milosevic: suicidati’ che poi è diventato quello delle manifestazioni anti-regime della seconda parte degli anni Novanta”.

E ancora nel 2008 gli hooligans saranno protagonisti dell’assalto alle ambasciate occidentali durante la manifestazione contro l’indipendenza del Kosovo, (21 febbraio 2008). Un giovane tifoso di Novi Sad muore all’interno dell’ambasciata americana clamorosamente mandata a fuoco da orde di tifosi che se non furono manovrati, certo fu lasciato loro molto spazio di manovra (7). Per questo anche nelle recenti vicende c’è chi si domanda chi ha lasciato fare gli hooligans a ridosso del gay pride. Sicuramente nei giorni precedenti c’era stato un coordinamento con i due principali gruppi nazionalisti “movimento 1389” e “Obraz” i cui membri spesso sono anche attivi nelle curve.

Il professore della facoltà di studi sulla sicurezza Zoran Dragišic (8) in un editoriale punta il dito sulle possibili complicità di livelli più alti con gli hooligans che rischiano di essere superati da un dibattito pubblico che verta unicamente sulla violenza (9). Le domande che pone Dragišic sono: chi c’è dietro? chi li finanzia? Quale sponda politica hanno? Ma in Serbia nessuno risponde mai a queste domande.

di Cecilia Ferrara (Limes – rivista italiana di geopolitica)

Note:
(1) I più attivi sono Obraz (che significa sia volto che orgoglio) e Movimento 1389 (anno della sconfitta dei serbi in Kosovo). Più volte si è paventata l’idea di chiudere questi gruppi, considerati il cuore della violenza politica nazionalista, ma si pensa che suscitino simpatie in molti partiti dell’arco parlamentare, dai radicali ai Dss di Kostunica. Vedi Cecilia Ferrara, “Una questione di Stato”, Osservatorio Balcani, 18 settembre.
(2) Danijela Nenadic, “Sotto assedio”, Osservatorio Balcani, 5 ottobre 2009.
(3) Volk è popolo, turbo è il sistema di iniezione di combustibile del cilindro del motore . Turbo folk è combustione del popolo. Qualsiasi stimolo di questo processo è turbo folk. Infiammare le più basse passioni dell’homo sapiens. Turbo Folk non è musica, turbo folk è l’incanto delle masse, cacofonia di tutti i gusti e tutti gli odori”. Famosa definizione di Rambo Amadeus cantante serbo.(sito Balkan Rock, “Turbo Folk, 24 luglio 2007).
(4) La Serbia dopo l’Argentina ha il numero più alto di procuratori al mondo.
(5) Simon Kuper, “Calcio e Potere”, Isbn Edizioni 2008.
(6) “Nel folklore dei tifosi in Serbia il tema dell’identità etnica, fino ad allora sporadico e proibito, compare in qualità di contenuto predominante di pari passo con la comparsa nell’ambito della comunicazione politica e della propaganda, in particolare nelle grandi manifestazioni populistiche di massa che diedero l’impronta alla vita politica della Serbia e del Montenegro nel corso del 1988 e 1989” (Colovic, op.cit. , p.43).
(7) Giuseppe Zaccaria in “A Belgrado e’ complotto contro Tadic Ultra’, polizia e politici: la rete di complicita’ che ha messo all’angolo il Presidente serbo Il giorno dopo il rogo alle ambasciate”, La Stampa 23 febbraio 2008.
(8) Coinvolto nel piano della sicurezza per il Belgrade Pride.
(9) Zoran Dragisic “Kako protiv nasiljia?” Obijektiv, 13 ottobre 2009, p.114.