PROLOGO
Siamo nell’estate del 1979. La Roma riparte, dopo la presidenza Anzalone, con Dino Viola dietro la scrivania e il Barone Nils Liedholm a dirigere un gruppo dalle discrete potenzialità. Roma è città caotica, sventrata dai residui dei boom edilizio, la passione della gente soffoca. La tranquillità e l’aria salubre sono i primi passi per la rifondazione. Val Pusterla, Brunico e dintorni. Nel silenzio della montagna, anche l’italiano cantilenante del mister trova la sua musicalità e la sua comprensione. La parola più controversa e meno chiara, “zona”, che nel vocabolario di Liedholm è sinonimo di razionalità ed equilibrio, dà il via ad un progetto che risulterà chiarissimo. Turone, neoacquisto, fa coppia con il confermatissimo Santarini al centro della difesa, mentre la ragnatela di centrocampo è formata dall’asse Di Bartolomei – Ancelotti. Davanti, Bruno Conti inventa e Pruzzo realizza. Semplice, efficace, ma non ancora vincente. E’ un calcio di buon livello, senza troppo pressing e fuorigioco, funzionale e divertente, però le squadre del nord hanno un’altro passo. Non è facile per Roma e la Roma risalire la china. Alla fine. però, arriva un settimo posto e soprattutto la conquista della Coppa Italia ai danni del Torino.
RITORNO IN ALTA QUOTA
Il calcio italiano riapre le frontiere agli stranieri. Nella villa di Viola, seduto a tavola, c’è un ospite d’eccezione: Zico, il miglior giocatore brasiliano del momento. Roma sogna il grande colpo, ma il Barone ha altre intenzioni per fare il salto di qualità. Fa acquistare un certo Falcão, da poco conosciuto al grande pubblico anche se già affermatissimo in Brasile. Il lungagnone dalla pelle chiara sembra il classico acquisto al risparmio, difficile da accettare dopo il mancato sogno Zico. I tifosi sono scettici, la stagione non è ancora iniziata e già si ironizza su questa squadra che «faceva ben sperare».
Ma la formazione ingrana, raccoglie convincenti successi in giro per l’Italia e il tecnico, con la sua zona lenta, imbriglia gli avversari e sino alla fine si gioca lo scudetto in un avvincente testa a testa con la Juventus. Al Comunale di Torino, lo scontro diretto decide il campionato; un punto separa le contendenti a favore dei bianconeri. L’arbitro, se lo ricordano bene tutti, è Bergamo di Livorno. Un traversone taglia l’area, Turone si avventa sul pallone e segna. Nemmeno il tempo di esultare e il colore giallo della bandierina rispedisce nelle gole l’urlo del gol. Moviole e processi confermano la validità del gol, ma lo scudetto va alla Juventus. La Roma si accontenta ancora una volta della Coppa Italia, ma prepara la sfida per il futuro. L’anno seguente arriva terza, a causa di qualche infortunio dei giocatori chiave, ma nel frattempo esplode Sebastiano Nela, rivelazione del calcio italiano.
L’ANNO DELLE MERAVIGLIE
La società si rende conto che per rimanere a certi livelli è necessaria una “rosa” piuttosto folta, così Viola e Liedholm pescano nel campionato italiano i giocatori con le motivazioni giuste. I presupposti per il salto di qualità ci sono e Vierchowod, Iorio, Maldera, Valigi, Nappi e Prohaska sono le novità su cui poggiano gli ambiziosi progetti societari. Il pubblico, figlio della sua grande passione, ancora una volta è perplesso: a Torino arrivano Platini e Boniek, la Fiorentina si affida a Bertoni, mentre la Roma prende uno scarto austriaco dell’Inter, che dopo la cessione di Prohaska si assicura Hansi Muller.
Ma l’avventura comincia bene, la nebbia dei dubbi si dirada al sole di Cagliari: è uno splendido 3-1 per i giallorossi. Se il buongiorno si vede dal mattino… Alla seconda arriva a Roma il Verona, la più pericolosa outsider del campionato, e dopo una partita sofferta Di Bartolomei segna su rigore allo scadere. La città comincia a credere nel lavoro del mister e della società. La prima delle tre sconfitte in campionato avviene sotto i colpi di classe di Roberto Mancini, che porta la Samp alla vittoria resuscitando le insicurezze dei tifosi giallorossi e restituendo voce agli scettici. Il primo periodo di quell’annata meravigliosa sarà sempre contraddistinta dai forti dubbi e dalle critiche, ma anche dalla convinzione di tifare per una squadra vera, capace di lottare alla pari con gli squadroni pluridecorati.
DUELLO ROMA-JUVENTUS
Il campionato, si riesce a intravedere, non sembra caratterizzato dallo strapotere di una sola formazione, anzi le sorprese sono all’ordine del giorno. Dopo la trasferta di Ascoli la vetta del campionato dice Roma, Pisa (!) e Sampdoria a pari punti, ma le due antagoniste non sembrano poter creare problemi di lunga durata ai giallorossi. Arrivano le vittorie ai danni di Napoli e Cesena e la Roma trova la testa solitaria della classifica. Il pubblico è entusiasta, la squadra pratica un buon calcio, alle spalle non si vedono grossi avversari e un pensiero al successo finale non è solo un azzardo d’autunno. A gelare l’entusiasmo, ecco la solita Juventus, che a Torino rimonta il vantaggio siglato dal sempre positivo Chierico. La sconfitta non lascia segni e i giallorossi riprendono il cammino fatto di vittorie interne e pareggi esterni. Fiorentina e Inter cadono all’Olimpico, le inseguitrici commettono passi falsi in provincia.
Il gioco convince, la squadra è solida, Pruzzo trova con facilità la porta avversaria, Iorio gioca abilmente come supporto al bomber e anche centrocampo e difesa contribuiscono al bottino di reti segnate. La sfida al vertice è in scena a Verona, un campo difficile da cui i giallorossi escono con un preziosissimo pareggio dopo essere andati in vantaggio. La Roma rimane saldamente al comando grazie ai gol decisivi di Iorio, che non ha medie realizzative altissime ma che spesso, anche nelle Coppe, si inventa uomo della provvidenza.
Nel girone di ritorno la costante rimane quella delle vittorie casalinghe e dei pareggi lontano dall’Olimpico. Ancelotti, Pruzzo e Di Bartolomei fanno la differenza: difficilmente sbagliano la “lettura” della partita, anche quando non sono in giornata di grazia. Proprio la costanza di rendimento diventa l’arma in più, facendo apparire i pochi punti di vantaggio un notevole scarto. A far cadere la regolarità del cammino romanista ci pensa ancora la Juventus, in una concitata partita nella capitale. Falcão porta in vantaggio i padroni di casa e la Roma, a pochi minuti dalla fine, ha sette punti sulla seconda. Ma i bianconeri ribaltano il risultato e al triplice fischio i punti di vantaggio sulle inseguitrici sono tre. La Roma è al bivio che indirizza verso il successo o relega nel limbo delle occasioni perdute: i ragazzi di Liedholm si riscattano prontamente vincendo sul campo di Pisa. La Juve, da copione, insegue e non molla.
Un’altra ottima gara a Firenze, con un 2-2 ricco di spettacolo e bel gioco, ma la notizia clamorosa giunge da Torino: il Toro rimonta due gol alla Juve e si aggiudica il derby della Mole. Nella capitale, lo smog lascia il passo all’aria che si respirava 40 anni prima, nei giorni del primo scudetto. Roma ribolle, ma la scaramanzia della gente e la flemma del tecnico svedese impediscono che la grande solidità dello spogliatoio e la compattezza della squadra vengano distratte proprio nel momento che conta. Un 2-0 sul rassegnato Catanzaro e Roma prepara i festeggiamenti. In casa i giallorossi non sbagliano un colpo: dopo il pareggio di Milano con l’Inter, questa volta è l’Avellino a subire due reti. Il campionato è virtualmente deciso, mentre il Giudice Sportivo sanziona lo 0-2 per Juventus-Inter. Manca solo la certezza matematica, ma ormai i giochi sono fatti…
NILS LIEDHOLM, IL MAGO DEL NORD
La Roma pareggia 1-1 contro il Genoa e si aggiudica il campionato. La metà giallorossa di Roma si riversa per le strade e tinge con i suoi colori la città. L’ultima di campionato è storia di festeggiamenti, standing ovation e fantasia, oltre che dei gol di Pruzzo, Falcão e Conti al malcapitato Torino. Iniziano le feste, i monumenti vengono infiocchettati, le strisce pedonali diventano giallorosse, i tifosi laziali si chiudono in casa per evitare gli… inevitabili sfottò. Si scatenano i tantissimi vip di fede romanista, con spettacoli, canzoni e soprattutto ci si gode la supremazia indiscutibile sui cugini biancocelesti.
«Con il Milan ho vinto quattro scudetti da giocatore e uno da allenatore; pensavo restassero i ricordi più belli della mia vita calcistica. Questo titolo con la Roma è di gran lunga il più sofferto quindi il più importante…»: pensieri e parole di Liedholm, uomo semplice e geniale, spesso ermetico, sempre simpatico. Parlava in pubblico col sorriso accattivante di chi si trova lì per caso, quasi fuori luogo, con quelle smorfie molto più chiare delle sue a volte incomprensibili frasi. Allenatore d’altri tempi, un grande signore del calcio.
Eppure a molti quell’apparente estraneità dal calcio dei chiassosi processi televisivi e degli investimenti miliardari non è mai andata a genio. Un uomo dal così illustre passato, ma dalla immagine pubblica a volte debole e stinta, riscaldata solo da quel viso rubizzo e dalle venuzze increspate sulle gote colorite, non sembrava l’ideale per una città come Roma, dove il tifo è un’arte e fa scuola, dove ogni bar e ogni ufficio hanno il poster della Magica in bella mostra.
Ben altra immagine aveva la sua squadra: ordinata, tecnica, esperta e soprattutto pratica. Un centrocampo stellare con Ancelotti, Prohaska, Di Bartolomei e Falcão. Una trama di piedi ottimi e cervelli fini, che ricuciva il gioco tra i reparti, con la fitta rete di passaggi e gli spunti personali che la zona richiedeva. «Con tanti piedi buoni, sarà difficile perdere palloni e quindi faticoso per gli altri recuperarne» sosteneva il mister, spiegando la scelta di un centrocampo agli occhi di molti costruito su doppioni. I tifosi giallorossi non si lasciarono sfuggire l’occasione per incoronare il loro re di Roma, Paulo Roberto Falcão, genio delle geometrie e delle poesie del rimbalzo, l’uomo dai lanci millimetrici, centrocampista dal tiro pulito sotto porta, la “summa” delle qualità che fanno di un giocatore un campione assoluto, con i suoi colpi d’estro, le parabole impossibili, le traiettorie sconosciute alla fisica dei normali giocatori di calcio.
Prohaska era l’essenzialità, la precisione negli appoggi e nei rilanci, l’eleganza innata di chi è cresciuto alla scuola danubiana. Ancelotti era invece esploso da poco tempo, per quel suo modo di stare in campo, con quella maturità che i giocatori raggiungono solo a fine carriera, quando ne hanno viste di tutti i colori. Tatticamente fondamentale, buon corridore dal calcio preciso e potente, formava con Di Bartolomei una coppia di grande spessore tecnico e atletico. Diba, capitano rimpianto da tutti gli sportivi italiani, aveva quel destro che solo pochi possono vantare: una punizione e lui decideva la partita, una palla morta a venticinque metri dalla porta ed era già un’occasione importante per la sua squadra. Schierato spesso come libero, impostava il gioco a testa alta, facendo valere la grande esperienza e il carisma, oltre che le indiscutibili doti tecniche. Del piccoletto Iorio si diceva che fosse un acquisto a rischio per quella fama di giocatore dalla “dolce vita” che gli aveva impedito la completa maturazione. A Roma invece lo ricordano per i gol, gli assist, i dribbling in un francobollo d’erba, il coraggio di lanciarsi in velocità contro avversari che lo sovrastavano fisicamente. Ma soprattutto viene ricordato per aver fatto coppia con l’idolo della Sud, il bomber Roberto Pruzzo, l’incubo di ogni stopper del campionato.
Avremo visto la stessa azione decine di volte: Nela o Conti scappano sul fondo, alzano la testa e indirizzano il pallone a centro area. Il resto della manovra è nelle statistiche: 131 gol in Serie A da padrone delle aree, con lo stacco di testa perentorio e impeccabile, i gol da rapinatore sotto porta e le acrobatiche realizzazioni in rovesciata, in spaccata o in tuffo.
Luglio dell’82, Mondiali di Spagna: Pelé definì il numero 16 della Nazionale italiana il miglior giocatore del Mundial. E Bruno Conti, non appagato dai complimenti, andò fino in fondo vincendo quel Mondiale, con le discese folli sulla fascia interrotte da scostanti sferzate dei suoi piccoli piedi che trasudavano estro. Il vero brasiliano della Roma era lui, con i lampi di tecnica purissima, la fantasia smagliante al servizio del collettivo. Se la squadra di Liedholm non buttava via un pallone, gran merito era di una difesa non solo arcigna e impenetrabile (seconda per gol subiti), ma anche in grado di giocare e costruire insieme agli altri reparti. A guardarlo bene, Sebastiano Nela sembrava quasi un fumetto, con la faccia dura e i muscoli pronunciati, lanciato al passo di locomotiva sulla fascia, irruente a imperversare con le sciabolate di sinistro dal fondo, ma anche a imbavagliare attaccanti pericolosi e molto più celebri di lui. E se dalla parte opposta del campo hai Maldera che, magari in modo meno spavaldo e prepotente, fa lo stesso lavoro di attacco e difesa, ti accorgi che i ruoli dei giocatori della Roma in fondo sono solo una definizione per le figurine dei calciatori.
«Ringrazio quelli della panchina, quelli come Chierico, Nappi, Valigi, Faccini…» disse il Barone nei cerimoniali post-scudetto. E in un periodo dove i titolari erano… titolari sul serio, senza i turn-over e le rose chilometriche, l’intelligenza dei sostituti era fondamentale per gli equilibri di una squadra, e soprattutto quando giocatori come Falcão e Conti risentivano di qualche lieve indisposizione, le risposte della panchina erano andate oltre le più rosee aspettative. A completare la squadra, i due centrali difensivi: Ubaldo Righetti, cresciuto nel vivaio della Roma, capace di ritagliarsi un notevole spazio quando Di Bartolomei assumeva compiti di centrocampista, e Pietro Vierchowod, inossidabile marcatore dal fisico e dalla velocità fuori dal comune.
PROFUMO DI VIOLA
Erano le regine, in campo e fuori, Roma e Juventus. Regalavano emozioni, gioco e titoloni sui giornali. Alla guida delle rispettive società giganteggiavano Boniperti e Viola, espressione massima dell’arguzia e del senso dell’ironia. E le frecciate, a denti stretti, con gli occhi socchiusi, nelle quali trovava un certo gusto anche Agnelli col suo nobile distacco. «Di fronte al potere di Agnelli mi sento quasi una mozzarella…» ironizzava Viola parlando del Governo del calcio e degli arbitri. «Viola? È bravissimo, ha vinto il cinquanta per cento degli scudetti della Roma…» replicava il numero uno della società bianconera. Ma tra i due c’era anche tanto rispetto, una gran signorilità. Viola era così: pungente, a volte antipatico, dotato di fascino e carisma, soprattutto di intelligenza e della furbizia propria dei grandi personaggi. Aveva trovato una Rometta salva all’ultima giornata con uno 0-0 molto sbiadito ad Ascoli (anche i marchigiani si salvarono grazie a quel punticino…), Trigoria preda della confusione, il bilancio societario in tragiche condizioni.
Poi strappò il mister fresco di stella al Milan, acquistò Falcão, riorganizzò la società e riempì lo stadio. E, come inevitabile conseguenza, arrivarono i successi della squadra e quelli personali, come l’elezione a Senatore. Ma soprattutto vinse due volte la Coppa Italia e uno scudetto, oltre alla lotta senza esclusione di colpi al potere e soprattutto alla Juventus. Fresca di tricolore, la Roma ha la grande occasione per passare alla storia del calcio internazionale. In campionato chiude a due punti dalla Juventus, ingaggiando Cerezo al fianco di Falcão e Graziani a far coppia con Pruzzo. Ma quello che rimarrà impresso nella memoria dei tifosi sarà la lunga cavalcata nelle notti di Coppa dei Campioni.
La Roma arriva in finale all’Olimpico, contro un grandissimo avversario: il Liverpool, squadra inglese di primissimo piano. L’Olimpico dà il meglio di sé, l’atmosfera è di quelle indimenticabili, Roma si paralizza davanti ai televisori, molti si trovano nei bar per neutralizzare tutti insieme la tensione. Segna Neal, ma Pruzzo di testa pareggia. I novanta minuti regolamentari e i tempi supplementari non sono sufficienti ad aggiudicare il prestigioso trofeo. I calci di rigore non portano fortuna ai giallorossi, che cadono tra gli applausi di un pubblico mai così vicino alla squadra. Prima di lasciare Roma, Liedholm vince comunque un’altra Coppa Italia, come regalo d’addio per cinque anni di calcio irripetibili…
IL CAMMINO DEI GIALLOROSSI
Gior. | Partita | Marcatori |
1 | Cagliari – ROMA 1-3 | Faccini, Loi (aut.), Iorio |
2 | ROMA – Verona 1-0 | Di Bartolomei (rig.) |
3 | Sampdoria – ROMA 1-0 | |
4 | ROMA – Ascoli 2-1 | Prohaska, Pruzzo (rig.) |
5 | Napoli – ROMA 1-3 | Iorio, Nela, Chierico |
6 | ROMA – Cesena 1-0 | Pruzzo |
7 | Juventus – ROMA 2-1 | Chierico |
8 | ROMA – Pisa 3-1 | Pruzzo (rig.), Pruzzo, Maldera |
9 | Udinese – ROMA 1-1 | Falcao |
10 | ROMA – Fiorentina 3-1 | Pruzzo, Conti B., Conti B. |
11 | Catanzaro – ROMA 0-0 | |
12 | ROMA – Inter 2-1 | Falcao, Iorio |
13 | Avellino – ROMA 1-1 | Prohaska |
14 | ROMA – Genoa 2-0 | Corti G. (aut.), Di Bartolomei |
15 | Torino – ROMA 1-1 | Pruzzo |
16 | ROMA – Cagliari 1-0 | Falcao |
17 | Verona – ROMA 1-1 | Iorio |
18 | ROMA – Sampdoria 1-0 | Iorio |
19 | Ascoli – ROMA 1-1 | Ancelotti |
20 | ROMA – Napoli 5-2 | Nela, Ancelotti, Di Bartolomei, Di Bartolomei, Pruzzo |
21 | Cesena – ROMA 1-1 | Pruzzo |
22 | ROMA – Juventus 1-2 | Falcao |
23 | Pisa – ROMA 1-2 | Falcao, Di Bartolomei |
24 | ROMA – Udinese 0-0 | |
25 | Fiorentina – ROMA 2-2 | Pruzzo, Prohaska (rig.) |
26 | ROMA – Catanzaro 2-0 | Di Bartolomei, Pruzzo |
27 | Inter – ROMA 0-0 | |
28 | ROMA – Avellino 2-0 | Falcao, Di Bartolomei |
29 | Genoa – ROMA 1-1 | Pruzzo |
30 | ROMA – Torino 3-1 | Pruzzo (rig.), Falcao, Conti B. |
LA ROSA DI LIEDHOLM
Giocatore | Pres. | Gol |
TANCREDI Franco | 30 | -23 |
VIERCHOWOD Pietro | 30 | |
FACCINI Paolo | 3 | 1 |
NELA Sebastiano | 28 | 2 |
DI BARTOLOMEI Agostino | 28 | 7 |
FALCAO Paulo Roberto | 27 | 7 |
PRUZZO Roberto | 27 | 12 |
MALDERA Aldo | 26 | 1 |
CONTI Bruno | 26 | 3 |
PROHASKA Herbert | 26 | 3 |
IORIO Maurizio | 25 | 5 |
ANCELOTTI Carlo | 23 | 2 |
NAPPI Michele | 16 | |
CHIERICO Odoacre | 16 | 2 |
VALIGI Claudio | 13 | |
RIGHETTI Ubaldo | 12 | |
SUPERCHI Franco | 1 | |
GIOVANNELLI Paolo | 1 |