Nicolò Carosio, il primo cantore del football

La prima grande voce del calcio italiano. Il debutto nel ’33 a Bologna. Racconta i Mondiali ’34 e ’38 vinti dall’ Italia. Con l’arrivo della Tv il suo stile diventa subito mito. Muore a Milano nell’84 tra l’indifferenza generale.


Le sue cronache sportive alla radio somigliavano più all’interpretazione di un grande attore per un’ importante prima teatrale, che al resoconto di una partita di calcio. All’ora fissata, dalla postazione allestita, con fili e microfoni sparpagliati per terra nello spazio ristretto dello sgabuzzino, Carosio attaccava (meglio dire che dava inizio allo spettacolo, perchè tale era) rivolgendosi a un pubblico lontano, invisibile e vociante, che doveva immaginare la partita attraverso le sue parole.

L’attacco irrompeva improvviso: “Signore e signori, è Nicolò Carosio che vi parla da…”. Ci sembra di sentirla ancora la sua voce chiara e secca, da Londra e Vienna, che racconta le finali di coppa dei Campioni vinte dal Milan di Rocco e dall’Inter di Herrera. Perché il grande Nicolò, con una «c» sola, incominciava sempre così le sue telecronache, quando era la prima e unica voce del calcio.

Figlio di una pianista inglese e di un siciliano ispettore delle dogane, Carosio cresce in giro per l’Italia: a Genova, Domodossola, La Spezia, Torino, Milano, Venezia. Laureato in legge, va in Inghilterra dove viene colpito dai commenti alla Bbc di Herbert Chapman, inventore del «sistema», e quando torna in Italia sogna di raccontare in diretta il football, come si diceva allora.

PROVINO

Il giovane Nicolò, che nel frattempo si allena a fare radiocronache sui campetti attorno a Venezia, dove trova un impiego presso la «Shell», un giorno del 1932 scrive all’Ente Italiano Audizioni Radiofoniche proponendo la sua candidatura. Convocato a Torino, improvvisa una radiocronaca di mezz’ora di un derby Juventus-Torino e quando arriva sul 5-5 viene fermato dai dirigenti, che gli offrono un contratto di collaborazione. Incomincia così, a 25 anni, la straordinaria carriera del primo radiocronista italiano, che nel 1933 debutta a Bologna per raccontare Italia-Germania.

RETE!

Quel giorno vince l’Italia e vince Carosio, che poi commenta i primi due mondiali vinti dagli azzurri nel ’34 e ’38. Il regime fascista proibisce i termini stranieri e Carosio trasforma il «corner» in calcio d’angolo, il «cross» in traversone e soprattutto il «gol» in rete. Migliaia di volte continuerà a dire «rete», sempre con lo stesso timbro di voce distaccato con cui sussurra «quasi rete», quando il pallone esce di poco.

Carosio diventa in fretta un mito per tutti, un modello di professionalità, come si direbbe oggi, perché quando non ci sono ancora i numeri sulle maglie, prima delle partite va negli alberghi delle squadre e si fa presentare i giocatori cercando di memorizzarne i volti. Poi alla sera chiede un giudizio sul ritmo della sua radiocronaca all’unica persona di cui si fida: sua moglie Eugenia, la donna che gli è stata vicina fino all’ ultimo. Duro di carattere, ma buono d’animo, Carosio lavora nella sezione radiocronache sportive, dove tra i giovani che lui aiuta con grande generosità c’è anche Vittorio Veltroni, padre di Walter.

Con la nascita della Tv diventa ancora più popolare, anche se le immagini smascherano la fantasia descrittiva che lo ha reso grande. Ma Carosio continua a farsi amare, per l’originalità delle proprie espressioni. Il suo stile inglese non tollera sceneggiate e quando qualcuno va a terra lo rimprovera così: «alzarsi e camminare».Ama i campioni e non i giocatori dal ruolo indefinito. «Punte, mezze punte, puntine da disegno», si lascia scappare una sera.

MODI DI DIRE

Anche nel piu’ sbiadito incontro, Carosio metteva passione, calore, come se egli stesso partecipasse al gioco. Quando si arrabbiava perche’ la partita gli pareva moscia, non mancava di urlare: “Ma dove siamo? Questo e’ calcio da salotto“, e quando arrivava alla sofferenza: “Ahi, ahi, qui si mette male“. A Belfast, durante Irlanda del Nord – Italia, negli anni Cinquanta, scoppiarono in campo tafferugli fra i giocatori e il nostro numero 5 Ferrario venne aggredito: “Cosa aspetta la polizia a intervenire? Quattro randellate ben date e tutto torna a posto“.

A Glasgow, nel corso della partita Celtic-Milan, Rivera, in uno scontro con un compagno, cade a terra. Carosio, dalla sua postazione, subito ammonisce: “Poche storie, alzarsi e correre“. Un’altra volta, sempre a proposito dell’ idolo dei rossoneri, per un tiro sbagliato impreca: “Rivera sbaglia la palla piu’ clamorosa della sua giovane vita“. A Meroni, estroso giocatore del Torino, morto nel ‘ 67 a soli ventiquattro anni per un incidente stradale, molto zazzeruto: “Tagliarsi i capelli, cosi’ il pallone non lo vedi“. A Mario Corso, rimproverandogli il gioco troppo individualista: “Mariolino, meno veroniche e piu’ sostanza“. Le belle azioni dei giocatori lo esaltavano, perdeva il controllo delle parole e, facendo eco alle grida dei tifosi, si abbandonava a improvvisi peani: “Si eleva alto e possente il grido di “Italia, Italia”. Bell’azione, onore al merito“.

ETIOPE

Amico di Rocco, ma stimato anche da Herrera e da tutti i giocatori, chiude con la Rai al Mondiale in Messico nel ’70, quando un guardalinee annulla un gol di Riva durante Italia-Israele (foto a fianco). «Ma che cosa vuole questo etiope?», si lamenta in diretta. Scoppia il finimondo e Carosio è costretto a lasciare la Rai. Ma a 63 anni non ha perso nè il gusto per la battuta, nè la passione, e così presta la sua splendida voce alle prime emittenti private. Chiude proprio con le radiocronache del Palermo, che in un pomeriggio del 1975 fanno affluire ben 15.000 tifosi nello stadio della Favorita soltanto per sentire il suo racconto, attraverso gli altoparlanti, di una partita giocata a Reggio Emilia. Carosio muore a Milano nel 1984, ma il suo ricordo non morirà mai. Nemmeno dopo cent’anni.

I RICORDI DI SANDRO MAZZOLA

«Ero molto legato a Nicolò Carosio, perché lui aveva commentato le partite di mio papà Valentino con il Grande Torino. Per questo mi chiamava sempre “Mazzolino” in tutte le telecronache dell’Inter, considerandomi con affetto il figlio di un campione che lui stimava moltissimo. Ho risentito la telecronaca della finale di Vienna del ’64 quando abbiamo vinto la prima coppa dei Campioni contro il Real Madrid e mi sono emozionato ancora, perché Carosio era davvero unico. E poi per me è sempre stato un mito fin da piccolo. Ricordo che con mio fratello, quando avevo otto o nove anni, ci mettevamo sotto il tavolo della cucina e cercavamo di imitare le sue radiocronache, perché lì al buio ci sembrava di essere in una cabina come lui».

I RICORDI DI GIGI RIVA

«Carosio è stato un grandissimo personaggio, che mi fa venire sempre in mente due episodi delle mie partite in Nazionale. Il primo è quello del mio esordio a Budapest nel 1965. Entrai al posto di Pascutti, che si infortunò dopo pochi minuti, e siccome avevo il numero 16, nella lista ufficiale attribuito a Simoni, per tutto il primo tempo lui mi chiamò Simoni. Poi gli venne il dubbio e nella ripresa diceva soltanto: «L’ala sinistra italiana». L’altro ricordo è meno divertente, perché risale alla partita contro Israele al mondiale del ’70. Si arrabbiò con il guardalinee che annullò un mio gol dicendo: “che cosa vuole questo nero o negrone”. Così tutte le volte che mi incontrava mi diceva, scherzando, che aveva perso il posto alla Rai per colpa mia».

I RICORDI DI BRUNO PIZZUL

«Carosio è stato una figura mitica anche per me che l’ho conosciuto come collega nel suo momento peggiore. Nel 1970 ero in Messico come quarto telecronista e quando lui fu trasferito a Guadalajara, toccò a me andarlo a prendere all’aeroporto. Avevo una sorta di sudditanza psicologica nei suoi confronti e temevo la sua ira, perché gli avevano appena detto di non commentare più le partite dell’Italia dopo le sue accuse nei confronti di un guardalinee etiope. Carosio era il classico burbero benefico e in fondo si calmò in fretta. Mi diede sempre molti consigli e ne ricordo uno in particolare quando scherzando diceva: “siccome in questa professione si sbaglia spesso, fatti vedere sempre con un bicchiere di whisky così almeno hai un alibi”. Un grandissimo».