La tragedia di Nazzareno Filippini

Al termine di Ascoli-Inter, Nazzareno viene aggredito brutalmente con sassi e bastoni da quattro ultras del gruppo “skin heads”. Morirà dopo otto giorni di agonia in ospedale ad Ancona.

Quel fumo nero aveva, a ripendarci, annunciato che la giornata sarebbe finita male. Il fumo sprigionatosi dal materasso per il salto in alto, completamente bruciato da uno dei tanti petardi lanciati per salutare l’inizio del campionato 1987/88. L’incontro Ascoli-Inter è appena terminato. Le forze dell’ ordine fanno defluire dalla Curva Nord dello stadio Del Duca i tifosi neroazzurri, che vengono incolonnati ed avviati verso i cinque pullman parcheggiati in via delle Zeppelle.

Ma non si è a conoscenza del fatto che altri due mezzi sono stati lasciati nei pressi della stazione ferroviaria: il secondo gruppo di ultras si dirige alla meta, passando davanti agli ingressi della tribuna coperta ed ecco avvicinarsi il dramma sotto la Curva Sud, feudo del tifo bianconero. All’indirizzo degli interisti inizia un fitto lancio di pietre, lattine ed altri oggetti. E’ il fuggi fuggi generale.

Nazzareno Filippini resta coinvolto nella ressa. Ad un certo punto si accascia al suolo, con il volto completamente coperto di sangue. Viene soccorso qualche minuto più tardi e tra le mani che si tendono per aiutarlo ci sono anche quelle di Antonio, diciannovenne, impaurito di quanto sta accadendo. Quando si avvicina non sa ancora che il corpo martoriato è di suo fratello.

Reno, così chiamato dagli amici, entra in coma profondo subito dopo aver varcato la soglia dell’Ospedale di Ascoli. Riesce a parlare con i medici del pronto soccorso, lamentando un forte dolore alla parte destra del capo. Durante gli accertamenti perde però conoscenza. Quindi, la corsa disperata verso Ancona con un’autoambulanza a sirene spiegate.

Nazzareno Filippini con la sua compagna Elisabetta

In tarda serata è sottoposto a Tac. Le sue condizioni appaiono subito gravi tanto che i sanitari del reparto neurochirurgico lo sottopongono ad un intervento alla testa per rimuovere un grosso ematoma. Filippini subisce in seguito un secondo intervento chirurgico per l’asportazione dei residui emorragici. Il giovane non riesce ad uscire dal coma profondo in cui è caduto tanto che i medici sono pessimisti sul suo recupero: difficilmente, in caso di sopravvivenza, potrà riprendere le piene facoltà fisiche.

A fare temere la sua fine imminente è il responso di un’ ennesima Tac. Com’ è prassi dopo un esame del genere, viene chiamato un neurochirurgo per un parere; questi però non rileva alcuna nuova lesione tale da giustificare un nuovo intervento chirurgico. Qualcosa di poco convincente, qualche leggerissimo segno d’allarme induce però i medici a fare il controllo: forse la modificazione della pupilla, un po’ più dilatata. Ma nei casi come quello di Nazzareno Filippini il confine tra una situazione già gravissima e la morte è impercettibile, labile come il tracciato di un encefalogramma o di un elettro-cardiogramma. D’ altronde le radiografie della scatola cranica dell’ uomo mostrano un cervello ridotto in poltiglia, con i ventricoli e le anse irriconoscibili, sformati da colpi che indicano una ferocia inaudita.

Il cuore di Reno cessa di battere il 17 ottobre per arresto cardiocircolatorio conseguente al progressivo deterioramento delle condizioni cerebrali che già erano gravissime. Nazzareno era un sostenitore convinto dell’Ascoli Calcio e non perdeva occasione per seguire la squadra del cuore. In gioventù era stato anche giocatore di calcio. Orfano di padre (viveva con la madre Maria, insegnante elementare), due sorelle sposate ed un fratello, Antonio, di 19 anni, aveva frequentato solo per qualche anno l’Isef ad Urbino, scegliendo poi di lavorare per la Casa Editrice Fabbri come rappresentante. Ascolano purosangue, conosciutissimo in città, molto vicino al mondo sportivo, avrebbe coronato il suo lungo sogno d’amore con la compagna Elisabetta De Benedittis proprio la settiamana successiva a quella maledetta domenica. Un dramma nel dramma.

Dopo difficili indagini verranno arrestati cinque ultras interisti del gruppo Viking con l’accusa di omicidio volontario: sono Mauro Russo, 31 anni, Marcello Ferrazzi, 24, Nicola Ciccarelli e Davide Sebastiani, 20, tutti di Milano, e il ventiquattrenne di Reggio Emilia Fabrizio Beggi. A sorpresa, nel giugno 1989 il giudice istruttore di Ancona li rimetterà in libertà per mancanza di indizi. Da nuove perizie disposte e altre testimonianze raccolte, sembra che Ciccarelli e Beggi, protagonisti di scontri fra le opposte tifoserie, fossero lontani dal luogo dell’aggressione a Filippini mentre, pur avendo partecipato alla rissa, non furono Russo, Ferrazzi e Sebastiani a sferrare con un oggetto il colpo che uccise l’ ascolano. Le nuove indagini però non porteranno ad identificare nessun colpevole lasciando di fatto gli omicidi di Nazzareno senza volto.

Costantino Rozzi, l’allora presidente dell’Ascoli, ai funerali di Nazzareno Filippini

Nel 2008, in occasione del ventennale di quei tragici fatti, la madre di Nazzareno rilasciò al Resto del Carlino questa toccante intervista:

Porterò un mazzo di fiori freschi sul ponte dov’è stato ucciso Reno. Di solito ci tengo bei fiori finti, ma oggi è un anniversario. Nella notte tra il sabato e la domenica della tragedia Elisabetta (la fidanzata di Reno, ndr) sognò che le fedi si spezzavano. Svegliò mio figlio agitata per raccontargli la visione e lui ne rimase scosso. Dopo la morte di Reno ha distrutto il suo abito da sposa. Lo ha tagliato a brandelli”.

E’ un dolore troppo grande, colmato solo dal ricordo di quel ragazzo splendido e sempre pieno di vita che accarezza ritratto in una foto: ”Per tanti anni — dice ancora la signora — sono stata in lotta con Dio e con tutti. Poi ho capito che tanta rabbia serviva solo a farmi stare peggio. E ho ritrovato la pace e la forza di andare avanti”.

Avanti, anche oltre le ingiustizie, contro un sistema giudiziario che funziona ‘alla rovescia’: ”Sono andata avanti tra avvocati e tribunali solo perché volevo che fosse fatta chiarezza — racconta in riferimento al processo —, ma così non è stato. Quei cinque se la sono cavata con il minimo indispensabile e anzi, ci avevano chiesto persino un risarcimento di 19 milioni perché, a detta loro, erano stati ingiustamente incarcerati. Ma ancora oggi chi non ha giustizia è il mio Reno”.

Sul tavolo sono raccolti centinaia di ritagli di giornale. Ci sono foto che ritraggono Nazareno nei momenti felici, con la fidanzata, in vacanza. E c’è una piccola foto della Prima Comunione attaccata su un tesserino di una squadra di calcio di quartiere: ”Non mi piaceva che Reno giocasse, ma lui amava tutti gli sport e il calcio per primo. E così attaccò quella foto al tesserino di nascosto da me e suo padre. Voglio dire solo una cosa ai ragazzi che vanno allo stadio: il calcio è un mercato. E se succedono queste cose le società non fanno niente per voi”.

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