LAUDRUP Michael: il Principe di Danimarca

Nasce a København nell’ottobre del 1964. Suo padre è un bravo centrocampista del Vanlose, del KB København, del Brøndby e della Nazionale. Michael segue il papà anche in Austria, dove milita nel Wiener Sportklub. Il cucciolo osserva ed impara.

Un giorno papà Finn lo vede in cortile mentre tira calci al pallone e capisce che il biondino ha talento. Michael imita la carriera del padre militando prima nel Vanlose poi nel Brøndby e nel KB di København dove esordisce a diciassette anni contro il B 1909 e realizza due reti. Nel BK esplode definitivamente. Rientra nel Brøndby giusto il tempo per entrare nell’obiettivo della Nazionale e della Juve.

A Boniperti lo consigliano John Hansen e Mario Astorri. In Danimarca vedono in lui l’erede di Simonsen. Lo vogliono il Liverpool ed il Barcellona, ma il padre sa che la strada meno pericolosa è l’Italia. Finn sceglie dunque la Juve. Ma nella Juve giocano Platini e Boniek, pertanto Michael è parcheggiato nella Lazio.

È sotto gli occhi di tutti che è in possesso di qualità incredibili, soprattutto nel controllare e nel calciare la palla, ma è altrettanto evidente che le sue caratteristiche tecniche e soprattutto la sua giovane età difficilmente gli avrebbero consentito di esprimersi ed emergere in una squadra come la Lazio, che è costretta a lottare per non retrocedere e, quindi, ad usare la spada molto più che il fioretto e ad affidarsi alla difesa, spesso ad oltranza, molto più che all’attacco.

Nonostante il carisma di Chinaglia e l’arrivo di Batista, un altro straniero che avrebbe incontrato problemi ancora più grossi di “Michelino”, i pessimi risultati trasformano, sin dalle prime battute, in una battaglia per la salvezza un campionato che era stato annunciato addirittura da Coppa Uefa. “Michelino” conosce le angosce delle sconfitte in serie, i traumi dei cambi a ripetizione dell’allenatore; le fughe da “Tor di Quinto”, il campo di allenamento della Lazio, con la protezione della polizia contro gli eccessi dei tifosi delusi; i lunghi ritiri lontano dalla capitale in un paesino dove ci si allena solamente, si risponde alle domande dei giornalisti e si gioca a carte con i compagni.

In quei due anni romani, Laudrup ha problemi anche con gli allenatori: Carosi, lo schiera solo per non irritare una parte della stampa e lo obbliga a rientri difensivi che non fanno parte del repertorio del danese, esponendolo, inevitabilmente, a prestazioni deludenti ed a figuracce. Dopo Carosi, arriva Lorenzo, l’argentino di ferro, legato ad un vecchio calcio che il povero “Michelino” non ha mai sentito parlare.

È costretto ad imparare cosa può la superstizione nel modo del calcio e come, per fare punti, il tecnico possa imporre concetti ed insegnamenti che litigano con la più elementare etica di questo gioco. Laudrup non riesce ad adeguarsi a tutto questo. Inevitabilmente, anche la sua seconda stagione romana è deludente e si conclude con la mortificazione estrema della retrocessione in serie B.

Finn un giorno parla chiaro a Boniperti: «O me lo porta a Torino o me lo riporto a København».
L’ultimatum ha effetto. Comincia così la storia bianconera di Laudrup che ha ventuno anni appena. A Torino diventa il pupillo di Boniperti ed il beniamino di chi ama il bel calcio. Michelino, in bianconero, sorprende tutti: Trapattoni riesce, in poco tempo, ad assemblare una squadra rinnovata in tanti pezzi, anche fondamentali.

Il Laudrup della Lazio, senza nerbo e carattere, regolarmente inutile in trasferta e bravo, soprattutto, a segnare dei goal, anche belli, ma quasi sempre a risultato già acquisito, diventa subito il “Principe di Danimarca” proprio per la sua capacità di essere spesso determinante e la sua qualità è comunque altissima; goal come quelli segnati a Tokyo, quando, con una giocata impossibile, permette alla Juventus di andare ai supplementari di una finale Intercontinentale che avrebbe poi vinto ai rigori, sono destinati a restare nel tempo e nella memoria dei tifosi.

Quando è in giornata, Laudrup è un giocatore immarcabile: i primi tre passi sono qualcosa di unico, con la palla tra i piedi non perde velocità, capace di saltare chiunque: La sua finta di corpo è micidiale, il tiro, quando ci prova, è notevole, la tecnica è sopraffina, è in possesso di una grande intelligenza calcistica. Insomma, ha tutte le caratteristiche per diventare un grandissimo, ma ha dei grandissimi limiti caratteriali.

Esemplificativa, in tal senso è la frase di Platini: «Laudrup? È il miglior giocatore del mondo, in allenamento». Definizione straordinariamente sintetica, che racchiude tutto; Michael sarebbe stato, semplicemente, il migliore del mondo se non ci fosse stata la competizione agonistica.

Torino gli piace perché è meno chiassosa e perché, a suo dire, somiglia a København. Lui ci tiene a spiegare che i danesi non sono noiosi, ma semplicemente più riservati. Trascorre le giornate con la fidanzata che diverrà sua moglie. Insieme ascoltano Bob Dylan, i Beatles e Joan Baez. Ama il golf, il tennis, gli spaghetti, la pizza napoletana ed i film di Woody Le sue doti sono la velocità, le improvvise convulsioni tecniche di un dribbling messo in pratica con leggerezza insostenibile per gli avversari. Però non ha il dono della continuità. Lui accetta elogi e critiche e ricorda che il suo punto debole è «il colpo di testa, nei palloni alti proprio non ci so fare».

Purtroppo, per “Michelino” e per tutti i tifosi, la Juventus è alla fine di un ciclo: arriva Marchesi che predilige il calcio difensivo ed obbliga spesso Laudrup a compiti di copertura. “Michelino” alterna grandi giocate a prestazione imbarazzanti e così preferisce emigrare in Spagna, sponda Barcellona.
Qui, sotto la sapiente guida di Johan Cruijff, Laudrup vince quattro titoli spagnoli consecutivi, dal 1991 al 1994, e l’ultima edizione della Coppa dei Campioni nel 1992 (a Wembley contro la Sampdoria) oltre ad essere eletto in due occasioni (1991 e 1993) miglior calciatore straniero del campionato spagnolo. Quando, nel 1994, il Barcellona acquista Romário, iniziando così il turn-over tra stranieri, il più sacrificato risulta proprio Laudrup.

I frequenti dissapori con Cruijff convincono il danese a cambiare aria e trovare rifugio presso gli eterni rivali del Real Madrid. Il passaggio alle merengues, e siamo nel luglio 1994, fa scalpore: la stagione successiva i madrileni vincono il campionato in maniera netta, e Laudrup diventa l’unico giocatore a vincere cinque titoli spagnoli di fila con due squadre differenti. La stagione successiva non è all’altezza della precedente ma nonostante le sole due stagioni giocate in maglia bianca, un sondaggio tra i tifosi lo ha posto al dodicesimo posto tra i migliori calciatori che abbiano mai giocato nel Real Madrid.

Dopo una stagione interlocutoria passata in Giappone nel Vissel Kobe (dove realizza 6 gol in 15 incontri), torna nel 1997 per un’ultima stagione in Europa, nell’Ajax, con cui vince nel 1998 lennesimo campionato, prima di annunciare il suo ritiro dal calcio al termine degli imminenti campionati mondiali di Francia.

In Nazionale la carriera di Laudrup dura la bellezza di 16 anni, dal 1982 al 1998. Dopo l’esordio nelle varie rappresentative giovanili nazionali a partire dal 1980, con le quali totalizza complessivamente 25 presenze e 14 gol, il debutto nella Nazionale maggiore arriva il 15 giugno 1982, giorno del suo diciottesimo compleanno, nella match giocata ad Oslo contro la Norvegia e terminato 2-1 per i danesi con una bella rete di Michael. Saranno addirittura nove le reti nelle prime sette partite giocate con la maglia biancorossa.

Partecipa ai campionati d’Europa del 1984 in Francia, del 1988 in Germania Ovest e del 1996 in Inghilterra. saltando, invece, causa divergenze con il tecnico danese Richard Møller Nielsen, lo storico europeo del 1992 in Svezia, che la Danimarca vince, e che vede suo fratello Brian laurearsi Campione d’Europa. Ottime anche le prestazioni alle due edizioni del campionato del mondo, nel 1986 in Messico (da ricordare il fantastico gol all’Uruguay nel 6-1 per i biancorossi) e nel 1998 in Francia. La sua ultima partita ufficiale, quando é ormai solo un giocatore a disposizione della Nazionale non avendo più un contratto con squadre di club, la gioca il 3 luglio 1998 a Nantes, nel quarto di finale che vede la Danimarca opposta al Brasile (3-2 per i verdeoro). Dieci giorni prima Laudrup aveva segnato il suo ultimo golufficiale (il 37esimo su 104 gare) contro la Francia, nel primo turno del campionato del mondo.

Platini diceva di Laudrup: ” E’ il piu’ grande di tutti”. Ma aggiungeva. “In allenamento”. La carriera di Michael in fondo ha dato torto a Michel. Ma non del tutto. Laudrup e’ stato un grande, anzi un grandissimo incompiuto, che ha vinto molto, quasi tutto, ma e’ stato sempre frenato dalla sua freddezza o chissa’ da cosa. Ha vinto quando non poteva farne a meno, giocando nel Barcellona, Real Madrid, Ajax e Juventus (collezionando scudetti in Italia, Spagna e Olanda, due coppe Campioni).
Ma sempre lasciando uno spazio ad un se….