BUSBY Matt: il mago del pallone che vinse il destino

Come in tutta Europa, anche in Inghilterra erano evidenti i segni della catastrofe lasciata in eredità dal secondo conflitto mondiale, quando Matt Busby giunse al Manchester United nella primavera del 1945. Gli aerei della Luftwaffe che avevano sganciato bombe sul Regno Unito non avevano risparmiato L’Old Trajford, ridotto a un cumulo di macerie. Lo United doveva dividere con i cugini del City lo stadio di Maine Road, versando nelle casse dei rivali cittadini 5.000 sterline per ogni partita disputata e una percentuale sugli incassi. Cominciò così, con l’obbligo di ricostruire la squadra, la carriera di Matt Busby, il più amato allenatore della storia ultracentenaria del Manchester United.

Figlio di un minatore, Busby nacque il 26 maggio del 1909 in una casa di campagna con due stanze a Orbiston, un piccolo villaggio nella regione del Lanarkshire, poche miglia a nord est di Glasgow. Non aveva ancora compiuto diciassette anni quando, poco prima della partenza per gli Stati Uniti dove era già emigrata sua madre (il padre era morto nella Prima Guerra Mondiale), venne chiamato per un provino dal Manchester City che gli cambiò la vita. In precedenza, Matt era stato rifiutato dai due giganti di Glasgow (Celtic e Rangers) e aveva giocato solamente per il locale club dilettantistico del Denny Hibs.

Nato calcisticamente come mediano, Busby deve il suo debutto con la maglia del City all’infortunio di un compagno che gli permise di entrare nella squadra riserve nel ruolo per lui, inedito di mezzala. Viene lanciato in prima squadra nel 1928 e rimane al Manchester City fino al 1936, vincendo la F.A. Cup del 1934. In quello stesso anno disputa la sua prima e unica partita ufficiale con la Nazionale scozzese contro il Galles (vittoria 3-2). In seguito sarà capitano della Scozia in partite non ufficiali dal 1939 al 1945.

1939: Busby tra Joe Mercer dell’Everton e Don Welsh del Charlton Athletic

Nel 1936 trovò un accordo con il Liverpool ma ad Anfield non ebbe troppo tempo per mettersi in mostra visto che lo scoppio della guerra lo costrinse, come la maggior parte dei suoi compagni, ad arruolarsi nel nono battaglione del King’s Liverpool Regiment e in seguito nella Compagnia Atleti dell’Esercito Inglese. Al termine del conflitto bellico il Liverpool lo richiamò ad Anfield sia come giocatore che come assistente dell’allenatore George Kay, ma Matt declinò gentilmente l’invito: «Ho l’opportunità di diventare l’allenatore del Manchester United» disse, «durante i miei giorni al City ho avuto modo di apprezzare quella città che mi attrae particolarmente».

Con queste parole nasce il regno di Matt Busby all’Old Trafford che si protrarrà per un quarto di secolo ricco di vittorie e trionfi, ma anche di lacrime e tragedie. Per sole 15 sterline alla settimana Busby aveva il compito di ricostruire, dalle rovine dell’Old Trafford distrutto dai bombardamenti, una squadra vincente. Dovette iniziare con i giocatori che erano già sotto contratto, quelli sopravvissuti alla guerra, finché nel febbraio del 1946 mise a segno il suo primo colpo acquistando per 4.000 sterline Jimmy Delaney, velocissima ala destra del Celtic detto “Brittie Bones” (ossa fragili). Aveva chiesto un contratto di cinque anni quando il presidente James Gibson lo aveva contattato nel 1945, perché aveva bisogno di quel lasso tempo per poter costruire una squadra competitiva. E cominciò a ripagare la fiducia di Gibson regalando al Manchester la F.A. Cup del 1948 (4-2 al Blackpool di Stanley Matthews).

Era un tecnico rivoluzionario, voleva che la squadra e il manager fossero una sola cosa e cominciò a scendere in campo in maglietta e pantaloncini assieme ai suoi ragazzi per gli allenamenti. Programmazione, esperienza e coraggio fecero ben presto di Busby un grandissimo allenatore. Era un uomo dalla personalità debordante, amava il calcio ed era pervaso da un profondo desiderio di vittoria. Amava assumersi rischi e era un innovatore che mescolava il rispetto per le tradizioni con il bisogno di rinnovamento.

Il suo Manchester arrivò al secondo posto per quattro volte in cinque anni prima di aggiudicarsi finalmente il titolo di campione d’Inghilterra. Era il 1952 (lo scudetto mancava all’Old Trafford da 41 anni), finalmente la politica dei giovani portata avanti da Busby cominciava a dare frutti concreti. Roger Byrne, Eddie Colman, Bobby Charlton, David Pegg, Tommy Taylor e Dennis Viollet, insieme a Duncan Edwards, probabilmente il più forte, furono alcuni dei Busby Babes di quegli anni. «Matt Busby» scriveva il Manchester Guardian dopo la conquista dello scudetto, «ha avuto una visione quasi soprannaturale nello scoprire giovani talenti locali, risultando per loro una sorta di secondo padre. Insieme a loro ha costruito uno spirito di squadra molto raro a questi tempi».

1952: il Manchester United vince lo scudetto dopo 41 anni

Nel 1955-56 arriva il secondo titolo griffato Busby, vinto da una squadra che più Babes non si può: 22 anni è l’età media dei giocatori, la più bassa della storia per una squadra che abbia vinto il titolo. L’anno successivo, sfidando apertamente i vertici della Federazione inglese e i presidenti dei grandi club decisi a snobbare la manifestazione recentemente nata, lo United partecipa alla Coppa dei Campioni. Busby vuole misurarsi con le squadre più forti del continente e alla prima partecipazione arriva fino alle semifinali, prima di inchinarsi al Reai Madrid dominatore delle prime cinque edizioni del torneo.

Dopo aver vinto il titolo del 1956-57, nel gennaio del 1958 Busby viene nominato Commissario tecnico della Scozia ma sfortunatamente, come vedremo, non potrà guidare la Nazionale ai mondiali di Svezia. Il suo Manchester vuole trionfare in Europa e il cammino dei “Busby Babes” sul continente non conosce intoppi fino al 6 febbraio 1958. Quel giorno il Manchester rientra da Belgrado, dove nei quarti di finale ha eliminato la Stella Rossa. Il bimotore “Elizabeth” fa scalo a Monaco di Baviera per il rifornimento. Dopo un’ora di sosta, sotto una fitta nevicata, l’aeroplano fallisce due tentativi di decollo a causa delle difficili condizioni di pista; il comandante decide di rinviare la partenza, poi però cambia idea e tenta un nuovo decollo. Sarà una manovra fatale. L’aereo si solleva per pochi attimi, poi ricade al suolo. Nell’incidente muoiono 23 persone, tra cui 8 giocatori dello United: Roger Byrne, Geoff Bent, Eddie Colman, Duncan Edwards (dopo una lunga agonia), Mark Jones, David Pegg, Tommy Taylor e Bill Whelan. Tra i superstiti figurano Bobby Charlton e Matt Busby, che però lotta per alcune settimane contro la morte. È un colpo durissimo per tutto il mondo del calcio ma soprattutto per il Manchester United.

Se le ferite subite dal fisico di Busby si rimarginarono compietamente dopo parecchie settimane di ospedale, quelle psicologiche ebbero bisogno di più tempo. Il “papà” di quegli otto ragazzi scomparsi pensò seriamente al ritiro, ma alla fine venne convinto a continuare e a ricostruire nuovamente il club dell’Old Trajford. Si dimostrò una volta di più un genio della panchina, costruendo un passo alla volta, attorno al superstite Bobby Charlton, un nuovo squadrone.

Alcuni sopravvissuti al disastro di Monaco: da sinistra Violett, Gregg, Matt Busby,Foulkes, Scanlon e Bobby Charlton

Gli acquisti dello scozzese Dennis Law, nel 1962, e soprattutto quello del nordirlandese George Best, un autentico artista del pallone, nel 1964, furono decisivi per i successi futuri dei Red Devils. Nel 1963 lo United tornò al successo in Coppa d’Inghilterra, mentre nel 1964-65 e nel 1966-67 arrivarono due titoli nazionali. «Il 90% dei giocatori britannici confessa che vorrebbe giocare nello United. L’altro 10% è costituito da bugiardi», dice un giorno Matt Busby. Ormai manca solo la Coppa dei Campioni, che il tecnico insegue da tempo. Il 1968 è L’anno buono: il Manchester United fa finalmente suo il trofeo, battendo il Benfica della Pantera Nera Eusebio per 4-1 ai supplementari nella finale di Wembley. Il ricordo di tutti va immediatamente ai ragazzi di Monaco 1958 e la dedica è scontata. Proprio Bobby Charlton, uno dei superstiti della sciagura, segnando una doppietta è il protagonista della partita insieme allo straripante talento del nordirlandese George Best.

Busby aveva ormai saldato anche l’ultimo debito che aveva nei confronti dei suoi “Babes”, aveva già vinto tutto, non aveva più nulla da chiedere al calcio e, dopo la stagione 1968-69, si ritirò assumendo la carica di generai manager. Nel giugno del 1968 fu insignito del titolo di cavaliere dalla regina e nel 1972 divenne cavaliere comandante di St. Gregory, uno dei più alti riconoscimenti civili della Chiesa Cattolica. Rimase sempre nell’orbita del Manchester United, prima come generai manager, poi come presidente dal 1979 fino al giorno della sua morte il 20 gennaio 1994, quando venne stroncato dalla leucemia.