Mantova: la favola del “Piccolo Brasile”

Quella che iniziò a partire dal 1955-56 fu una vera e propria favola calcistica che nel giro di pochi anni proiettò la squadra biancorossa dall’anonimato della Quarta serie fino ai fasti della serie A.


PROLOGO

Alle gesta del “Piccolo Brasile” (venne così chiamato il Mantova da un giornale di Lucca al termine dell’ennesima, larga vittoria) in particolare è legato il nome di Edmondo Fabbri, il popolare “Omino di Castelbolognese” che dalla panchina trasmise a questi giovani e baldanzosi ragazzi in maglia virgiliana la voglia ed il carattere per scrivere alcune pagine d’oro del calcio mantovano.Altro “deus ex machina” di questa squadra straordinaria fu Italo Allodi, giunto a Mantova da Suzzara (sua città d’adozione) nelle vesti di calciatore ed affermatosi poi come il primo, vero general manager italiano. Fabbri poi andò alla Nazionale, Allodi disegnò la grande Inter di Moratti: con queste basi dunque il Mantova entrò di diritto nell’èlite del calcio, salvo poi, purtroppo, compiere il cammino inverso qualche anno dopo.

ARRIVA FABBRI

Il primo anno di Fabbri al Mantova è di assestamento: la squadra è del tutto rinnovata e si punta sui giovani della provincia. Così dal Governolo arrivano William Negri e Veneri, dal S. Benedetto Torelli e quasi tutto il vivaio di una squadretta cittadina, il Sant’Egidio, con i vari Dante Micheli, Russo, Longhi e Paccini. Dopo qualche sconfitta iniziale, la squadra inizia a carburare e finisce il torneo in crescendo vincendo (spesso a suon di gol) in casa e fuori: il terzo posto conclusivo è tutt’altro che male per una formazione “fatta in casa”. L’anno dopo comincia la scalata: il Mantova, che nel frattempo ha trovato l’abbinamento pubblicitario con la ditta di petroli OZO, proprietaria della raffineria sorta alle porte della città (la squadra cambia i colori sociali in onore dello sponsor: da biancazzurri a biancorossi), deve arrivare almeno nei primi sei per garantirsi l’accesso alla Quarta serie d’Eccellenza. Alla fine arriverà secondo, ottenendo ben 9 successi in trasferta e caratterizzandosi come formazione gagliarda, tenace, mai doma ed anche spettacolare: il tutto nel puro spirito di Edmondo Fabbri.

Edmondo Fabbri: a lui spetta la nascita del “Piccolo Brasile”

LA REGIA DI ALLODI

La squadra che nel 1957-58 partecipa alla Quarta serie di Eccellenza è opera di Italo Allodi, passato dal campo alla scrivania: è proprio lui infatti che acquista elementi con un misto di grinta e tecnica che faranno fare al Mantova il salto di qualità. Sono i vari Giagnoni , destinato a diventare “la bandiera” del Mantova, e l’attaccante Fantini (entrambi dal Fabbrico), poi Bibolini, Martinelli, Cuoghi, Recagli, Giavara, Ravelli e Vaccari. Fabbri riuscirà ad amalgamare una squadra che vincerà il campionato in carrozza, perdendo solo due volte, ottenendo la seconda promozione consecutiva ed approdando in C.

Per il cui campionato, nel 1958-59, il Mantova fece solo due innesti nel gruppo affiatato. Fu, questo, un campionato epico, forse in assoluto il più bello e felice dal punto di vista spettacolare ed emotivo della storia biancorossa. Malgrado la presenza di tanti “squadroni”, il Mantova si calò subito con grande autorità nella categoria vincendo e convincendo. Alcuni risultati? 8-0 col Legnano, 2-0 a Lucca (nasce il “Piccolo Brasile”), 3-0 a Vercelli, 3-1 a Piacenza, 3-1 a Cremona. L’unica squadra che tiene il passo del Mantova, anzi lo precede di 3 punti, è il Siena, dove i virgiliani devono recarsi in una delle ultime gare della stagione: ebbene, il Mantova vinse 2-0 con gol di Turatti e Recagni ed alla fine del campionato arrivò a pari punti proprio con i toscani a quota 58.Si rese dunque necessario uno spareggio in campo neutro, a Genova, il 28 giugno 1959: e qui il Piccolo Brasile compì il suo capolavoro. Dopo pochi minuti di gara infatti la squadra di Fabbri rimase con un uomo in meno per infortunio di Cadè (a quel tempo non c’erano sostituzioni), ma l’inferiorità numerica fu sopperita da una prestazione tutto cuore e grinta: premiata nel finale dal gol di Fantini che voleva dire serie B.

Ormai il Mantova fa notizia e l’estate successiva molti giocatori (Fantini, Micheli, Recagni, Bibolini, Turatti), richiesti, fanno le valigie. Il torneo di serie B comincia male ma la squadra biancorossa a poco a poco si riorganizza ed ottiene successi di prestigio come a Torino, a Venezia, a Brescia ed a Modena: il quinto posto finale è tutt’altro che male per una neopromossa. Ed il 1960-61, in pieno miracolo economico, fu l’apoteosi per l’OZO Mantova, per Edmondo Fabbri e per la sua pattuglia di ragazzi: squadra parzialmente rinnovata ma intatta nello spirito e nella grinta. Torneo difficile, nel quale però il Mantova si esalta ed ottiene successi di rilievo come il 4-2 di Genova coi rossoblu e mantiene un cammino regolare: solo il Venezia arriva davanti ai biancorossi, forte di una contestata vittoria (3-2) casalinga. Ma la sicurezza matematica della promozione in A avviene in casa col Brescia (2-0), alla terzultima gara, in mezzo ad un tripudio popolare e tutti i protagonisti portati in trionfo.

E’ SERIE A!

Mantova dunque in serie A: la società, presieduta da Peppe Nuvolari, provvede all’ingaggio degli stranieri. Dal Santos arriva Angelo Benedicto Sormani, vice di Pelè; dalla Svizzera Tony Alleman, quindi un altro brasiliano, un certo Nelsinho, primo bidone della storia biancorossa.
Il debutto avviene nel settembre 1961, nemmeno farlo apposta, sul campo della Juventus che schierava tra gli altri Sivori, Charles e compagnia bella. È proprio Charles a realizzare per i bianconeri ma poco prima del termine Alleman firma l’ 1-1. Un debutto coi fiocchi e controfiocchi. Alla sua prima esperienza nel calcio che conta, il Mantova chiude al 9° posto con 32 punti. Qualcosa però è andato deteriorandosi: il rapporto con Fabbri si incrina e le dispute tra il tecnico ed il presidente Nuvolari spaccano in due la città.Al ristorante Da Gastone, rettore magnifico dell’Università del calcio, ci sono i fabbriani ad oltranza; al Bar Sociale, capitanati dall’avv. Antonio Fario, gli anti-omino di Castelbolognese. La Gazzetta di Mantova, che con l’allora direttore Amadei non è tenera nei confronti del tecnico, viene bruciata in piazza e da un ultraleggero affittato per l’occasione piovono volantini che invitano appunto Nuvolari e la sua cricca a lasciare la società. Si perpetua la sfida tra Guelfi e Ghibellini.

ARRIVANO ZOFF E SCHNELLINGER

Dopo sette anni comunque Fabbri lascia Mantova: un carattere mai facile il suo, ma decisamente un grandissimo allenatore. Al suo posto arriva Nandor Hidegkuti, mister gentiluomo, ex della grande Ungheria; non c’è più Nelsinho, al suo posto il rubicondo e pacioccone tedesco Geiger, grande esperto di birra. Il Mantova si salva anche grazie a Giagnoni e altri anziani della squadra che prendono in mano le redini della situazione. Via Hidegkuti, nel 1963-64 ecco Cina Bonizzoni, personaggio singolare, brav’uomo che si trova a gestire una squadra che non ha più Sormani ceduto alla Roma per l’allora astronomica cifra di mezzo miliardo, e Negri passato al Bologna col quale conquisterà lo scudetto tricolore dopo spareggio con l’Inter. In compenso arrivano Karl Heinz Schnellinger, battezzato Schilingi per comodità linguistica, lo svedese Jonsson e un certo Dino Zoff, portiere friulano di belle speranze.

In più c’è Nicolè, bomber prodigio poi scaduto per problemi di dieta (singolare la cura dimagrante effettuata sotto il controllo del masseur Brindani: dopo un mese il massaggiatore biancorosso era diminuito di 3 kg., Nicolè ne aveva aggiunti altri due al suo poco invidiabile peso forma). Schilingi, quasi da solo, mantiene la squadra in A. L’anno successivo sulla panchina c’è l’argentino Oscar Montez, tipo quantomeno singolare (eufemismo), sostituito nell’ordine da Gianni Bonanno e infine da Mari. Dai Montez ai Mari si potrebbe dire, ma il Mantova retrocede ugualmente in serie B. Da alcuni mesi l’ing. Sergio Previdi è presidente mentre alla ribalta si è già affacciato un quistellese di Milano, l’industriale Andrea Zenesini, titolare dell’Europhon.

Di Giacomo con la maglia del Mantova1967/68

DI GIACOMO IL GIUSTIZIERE

Cadè è il nuovo allenatore della stagione 1965-66, il Mantova si classifica al terzo posto e ritorna subito in serie A. Nell’ultima gara del torneo 1966-67 il Mantova batte l’Inter al Martelli togliendole lo scudetto. Ci sono 25 mila spettatori, la metà dei quali di fede nerazzurra, che assistono come impietriti alla papera del portiere Sarti che si lascia sfuggire il tiro cross di Gegè Di Giacomo. Da parte mantovana non c’era assolutamente la volontà di vincere, ne erano convinti anche i nerazzurri; invece è andata proprio così, con lo scudetto alla Juventus e tanta rabbia, durata poi per anni, nell’animo degli interisti nei confronti del Mantova.L’anno successivo (1967-68) di nuovo la caduta in B ed alla guida della squadra per la pronta risalita viene chiamato Mannocci: costui, che non è un cuor di leone, si lascia sfuggire di mano la situazione e Zenesini, che ha trasformato il Mantova in S.p.a. e ne ha assunto la presidenza, chiama Giagnoni. Il Giagno, che non ha ancora il colbacco, salva la squadra e l’anno dopo arriva quarto perdendo, per un solo punto, la promozione in serie A.

EPILOGO AMARO

L’appuntamento è rinviato di una sola stagione: nel 1970-71 il Mantova vince il campionato di B e ritorna trionfalmente in serie A. Siamo al 1971, il Mantova, di Zenesini, si accinge a un campionato “di centroclassifica “, forte di uomini importanti in tutti i settori: gli esperti Bacher e Micheli in difesa, i raffinati Dell’Angelo e Maddè a centrocampo, la guizzante ala Carelli e il baby Sauro Petrini in attacco. Allenatore, Renato Lucchi. La partenza è da brividi: un punto nelle prime quattro partite, le avvisaglie di una stagione che, soprattutto per l’inguaribile sterilità offensiva, diventa subito in salita. Dopo quattordici giornate, con sette punti al penultimo posto in classifica, Lucchi viene silurato e sostituito con un altro importante “ex” degli anni d’oro: Renzo Uzzecchini.

Scontato un avvio disastroso, il nuovo “manico” risolleva in parte la squadra, ma non riesce a sottrarla all’abbraccio mortale della penultima piazza, che abbandona, paradossalmente, solo all’ultimo turno, quando appaia il Catanzaro a un solo punto dal Verona e dalla salvezza. Nessuno immagina che sia il principio della fine: invece il Mantova ripercorre alla rovescia la magica arrampicata di dieci anni prima e in soli due anni si ritrova in C.

La parabola del “Piccolo Brasile” termina qui, tra le gradinate semivuote del Martelli E in attesa di un nuovo miracolo…