ANDREA MAIETTI: Com’era bello con Gianni Brera

Maietti, suo biografo ufficiale, racconta ciò che Brera ha lasciato a chi lo ha conosciuto personalmente, ma non solo, anche a chi lo ha conosciuto dai suoi immensi scritti.


Chi non ricorda Gianni Brera? Le sue cronache sportive sui giornali, i suoi interventi alla tv, la sua figura rude, i suoi modi spesso bruschi, ma anche il carattere profondamente umano? Oggi probabilmente non esiste in Italia un giornalista sportivo dotato di una personalità altrettanto forte ed autorevole. Per il decimo anniversario della morte di Gianni Brera, nel 2002 uscì questo volume di Andrea Maietti che si propone di celebrarne la figura.

Nato a San Zeno Po (in provincia di Pavia) l’8 settembre del 1919, era coetaneo di Fausto Coppi, il campione più amato. Fin da ragazzo intuisce la vocazione letteraria, scrivendo poesie e racconti. Dopo il liceo scientifico, si iscrive a Scienze Politiche a Pavia. In quegli anni pratica la boxe, “non per istinto sportivo”, ebbe più tardi a confessare, “ma per fare la doccia due o tre volte la settimana”. Siamo negli ultimi anni del ventennio fascista e le condizioni materiali del Paese non sono delle più felici. Allo scoppio della guerra, si arruola nei paracadutisti. Dopo l’esperienza di alcune collaborazioni giornalistiche già negli anni precedenti, a 22 anni scrive il suo primo pezzo “nobile” sul “Popolo d’Italia”.

Si laurea, si sposa e nel ’44 partecipa alla Resistenza, militando, in Val d’Ossola, nella X brigata partigiana “Garibaldi”.Finita la guerra sarà rapida la sua carriera: dalla “Gazzetta dello Sport” al “Guerin Sportivo” (di entrambe le testate sarà direttore), dal “Giorno” al “Giornale” alla “Repubblica”.
Nel 1969 pubblica da Longanesi il suo primo romanzo: Il corpo della ragassa (da cui una versione cinematografica con Enrico Maria Salerno), a cui seguiranno Naso bugiardo (Rizzoli 1977) e Il mio vescovo e le animalesse (Bompiani 1984). Tutti racconti ambientati nella nativa Bassa padana, una terra e una cultura con cui Brera mantenne per tutta la vita uno stretto legame affettivo. Fino alla morte, avvenuta nella notte tra il 18 e 19 dicembre 1992 per un incidente automobilistico.

Il volume curato da Maietti, biografo ufficiale di Brera su sua stessa designazione, è un’occasione per accostarsi a questo personaggio così poliedrico. Di Gianni Brera vengono ripercorse la vita e la scrittura, con interventi di amici e studiosi. Firma la prefazione Gianni Rivera, da Brera soprannominato l'”abatino”, perché giudicato tanto bello a vedersi, quanto povero di coraggio fisico e vigore atletico, dotato solo di stile. Una polemica che andrà avanti per tutta la carriera del calciatore.

E Rivera ricorda: “La sola volta che Brera mi ritenne veramente degno di stima fu una sera al ristorante, perché gli dimostrai di intendermi di vino”. Questo era l’uomo: grande, raffinato mangiatore, bevitore, appassionato di caccia e della natura.Oltre a quell'”abatino” con cui marchiò Rivera, numerosi furono i termini inventati da Brera e poi applicati allo sport fino a diventare del tutto comuni. Lo sapevate che la parola “centrocampista” l’ha inventata lui negli anni Cinquanta? E lo stesso dicasi per “goleador” o “raid” (quest’ ultimo mutuato dal linguaggio bellico e traslato allo sport).

Lo stile di Brera, infatti, era tutto basato su un’accentuazione espressionistica del dato della cronaca. Brera, dice Ferdinando Giannessi, correva “di metafora in metafora come su una giostra impazzita”. Strano, dunque, che i suoi articoli venissero letti da tutti, magari in cinque minuti da persone di scarsa cultura, quando invece un lettore colto, per l’uso arcaico e particolarissimo della lingua, poteva sentire la necessità di ricorrere al dizionario.

Qualcuno ne ha accostato l’accentuato funambolismo verbale allo stile di Gadda: un pastiche in cui il termine culto è posto accanto a quello volgare, l’italiano alto a parole derivate dal dialetto lombardo. Ma Gadda, da scrittore puro, era tutto concentrato sulla lingua, che torniva e cesellava in maniera maniacale.A Brera, invece, importava raccontare la vita, scrivendo di getto e d’impeto, avendo nel sangue questo suo stile così personale, ottenuto senza alcuna premeditazione. Le sue, come nota Luigi Sampietro, erano scelte dettate dall’estro del momento.

Dovendo scrivere in fretta come tutti i giornalisti, aveva inventato alcuni stilemi passepartout, da infilare nel pezzo quando servissero. Per descrivere una partita di calcio o una tappa del giro d’Italia, annotava le minuzie, i fatti più banali, i particolari che altri avrebbero facilmente trascurato. Poi però, quando si metteva alla macchina da scrivere, prevalevano i suoi umori sulla fedeltà realistica. E questa era la sua cifra inconfondibile. Unico al punto da non aver lasciato eredi ma solo qualche maldestro imitatore.

Andrea Maietti
Com’era bello con Gianni Brera
Limina, 2002
pp. 252