LEONARDO: l’essenza del bel calcio

Leonardo Nascimento de Araujo. Amato in ogni posto in cui è stato, rimpianto da ogni squadra che ha lasciato e soprattutto dai rispettivi tifosi. Leonardo ha giocato nel Flamengo, nel San Paolo, nel Valencia, nel Kashima Antlers e nel Paris Saint Germain prima di arrivare al Milan. Ha giocato ben due Campionati del Mondo consecutivi, vincendo il primo e perdendo il secondo in finale contro la Francia di Zidane. Ma il brasiliano non si rammarica mai di quello che gli succede, lui è così accetta tutto quello che la vita e il calcio sanno dargli senza recriminazioni. Una carriera, la sua, passata attraverso grandi club e sempre nel segno della discrezione. Leonardo è sicuramente uno dei calciatori più intelligenti del Brasile, dote che gli ha permesso di girare il mondo con grande disinvoltura.

Nato a Niterói il 5 settembre 1969, da piccolo Leonardo tira i suoi primi calcio nel Rio Cricket, per andare poi nelle giovanili del Vasco da Gama, a Rio de Janeiro. Per qualche mese abbandona il pallone per i libri. Già, lo studio: lunica cosa che Leonardo ritiene più importante del calcio. Si iscrive alla facoltà di ingegneria di Rio de Janeiro, ma a diciotto anni viene chiamato dal Flamengo. Così, mentre pensa di diventare un bravo studente, come il fratello e la sorella maggiori, Leonardo gioca insieme a Zico e Jorginho: difensore laterale sinistro e già allora in maglia rossonera.

Alla prima stagione da professionista diventa Campione del Brasile. “Il mio primo scudetto l’ho vinto a 17 anni, nel 1987 con il Flamengo – racconta -. Eravamo partiti malissimo, con una sconfitta alla prima partita contro il San Paolo. Ma abbiamo rialzato subito la testa: poi abbiamo vinto tutte le partite. Pensate che giocavo con Zico, Muller, Careca, Silas, Andrade. In piu’ Zinho, Edinho, Leandro, Bebeto, Jorginho. Tutti nazionali conosciuti dappertutto. Che squadra!“. Nessuno lo chiama più Ratinho (topino) come da piccolo, bensì Leo, un nuovo campione verdeoro.

Nel 1990 passa al San Paolo, continuando a imporsi per il suo stile, anche fuori dal campo. I tifosi lo ammirano, le donne lo amano: è il nuovo personaggio del calcio brasiliano. Al San Paolo gioca due buoni anni. Fa tutto: laterale, difensore, uomo di fascia, attaccante. Si adatta, viaggia anche in campo. «Il bello del calcio è anche questo: conoscere, scoprire, vivere ruoli ed esperienze». Poi, improvvisamente, l’Europa. Il viaggiatore Leonardo arriva in Spagna, Valencia. Sono gli anni del Barcellona di Cruijff. Leo scopre un nuovo mondo e nuovo modo di giocare. L’allenatore è l’olandese Hiddink. Riparte, più ricco, due anni dopo. In Brasile, al San Paolo, pensa di fermarsi per sempre.

Nel 1993, dicevamo, torna in Brasile al San Paolo per lottare ai massimi livelli, quello che il Valencia non poteva raggiungere. Il destino lo porta a giocare la finale di Coppa Intercontinentale a Tokyo contro il Milan di Fabio Capello. La coppa è dei brasiliani, ma per Leonardo scocca la scintilla: il suo sogno diventa il Milan. “Quella sera abbiamo perso, ma almeno abbiamo scoperto un talento“, commenterà Adriano Galliani anni dopo. Da una vittoria allaltra e così il terzino sinistro che fa sognare i tifosi brasiliani parte per la spedizione americana.

In quel momento si parla di lui come uno dei più forti laterali della storia del calcio e molte squadre italiane si interessano a Leonardo. La stessa Juventus che, dopo Cabrini, è sempre in cerca di un mancino all’altezza. Su quella fascia diventa subito imprendibile e la stampa mondiale si accorge di lui. Ma nella partita contro gli Stati Uniti Leonardo commette forse l’unico errore della sua vita: la gomitata a Tab Ramos gli costa cara. Usa 94 per lui finisce lì agli ottavi di finale. Il Brasile va avanti e conquista il suo quarto titolo mondiale. Il pentimento non basta a cancellare l’amarezza per un gesto evitabile, ma lintelligenza e la cultura del ragazzo riescono, anche questa volta, a riportarlo sullonda del successo.

Dopo Valencia e San Paolo ecco il Giappone. Un’altra avventura. Leonardo approda al Kashima Antlers e diventa subito un idolo della tifoseria, vestendo la maglia numero 10. Insieme all’altro brasiliano Jorginho (anche lui fra i vincitori del Mondiale 1994), porta il Kashima al titolo giapponese. Ancora successo, ancora vittorie, ancora soldi: 2 miliardi all’anno l’ingaggio di Leonardo in Giappone.

Si ambienta a meraviglia anche perchè il Kashima è una squadra con una mentalità creata per Zico, che Leo considera il vero simbolo del calcio brasiliano, l’uomo dal quale prendere sempre esempio. Impara anche un po’ di giapponese e soprattutto segna trenta gol in tre stagioni. La gente ama quel brasiliano così atipico, che non soffre di saudade ma anzi, prende sempre le cose dal lato migliore. “In Giappone ho imparato tanto come persona – dirà piu’ tardi – perchè sono arrivato lì con la mente sveglia, la voglia di capire, di conoscere“.

Ma la voglia di tornare al calcio che conta è più forte di qualsiasi contratto. Il presidente del Paris Saint Germain, Michel Denisot, lo vuole a Parigi e scatena un vero e proprio braccio di ferro con i giapponesi. Nellultima partita che disputa in Giappone Leonardo segna un gol da favola e migliaia di tifosi lo accompagnano dallo stadio fin sotto casa sua. Un vero e proprio movimento popolare, che però non serve a nulla: Ricardo Gomes, allenatore del PSG, lo vuole a qualsiasi prezzo, sicuro che con Rai formerà una coppia invincibile.

Nel Paris Saint Germain Leo incrocia ancora una volta un pezzo di Milan nella persona di Marco Simone. Parigi è tutto quello che un uomo come Leonardo puo’ desiderare per sè, per la moglie Beatriz, per tutta la famiglia: prende casa a Saint Germain en Laye, dove il Psg normalmente lavora, a trenta chilometri dalla metropoli. Ma trenta chilometri sono poco o nulla per uno che ha voglia di vivere il mondo: a Parigi Leo va a teatro, al cinema, ad ascoltare concerti, in giro per musei. Nella relativa tranquillità del campionato francese costruisce un altro po’ della sua notorietà: l’incidente dei mondiali è cancellato, Leo fa anche il capitano della nazionale brasiliana quando Dunga non c’è, e soprattutto è considerato da tutto l’ambiente il referente ideale per la sua tranquillità e la capacità di comunicare.

Il suo girovagare gli ha permesso di imparare le lingue: approdando in Francia aggiunge il francese al portoghese, allo spagnolo, all’inglese e a quel po’ di giapponese, si schermisce, che ha potuto imparare. “Il giapponese è troppo difficile“. Ma Leonardo è uno nato per semplificare le cose: le semplifica parecchio anche al Paris Saint Germain, che si è ingarbugliato la vita in una partitaccia con la Steaua Bucarest. E’ la fine d’agosto del 1997, ci vuole un’ impresa a Parigi per ribaltare il risultato e qualificarsi alla Champions League. Nel suo primo anno con il Psg Leo ha giocato 32 partite in campionato segnando 7 gol. Da mesi il Milan tenta di portarlo in Italia. Leo vuol lasciare qualcosa di bello ai tifosi dei blu parigini e ci riesce: trascina il Psg, che vince 5-0, alla qualificazione a quella coppa alla quale il Milan non potrà partecipare.

Ma la questione europea a Leo non interessa, lui vuole l’Italia: se non ora, quando? Capello spinge (e lo stuzzica con il famoso «Vieni a fare la ciliegina?»), Galliani dice che Leo potrà arrivare solo se qualcun altro partirà, il Psg temporeggia, il giocatore vuol sapere cosa sarà della sua carriera. A 28 anni, è pronto. Soprattutto non vuol passare altri mesi nel dubbio: “Ora è un bene che parta e non solo per me, anche per il Psg“. Che lo accontenta: Leo arriva in Italia il primo settembre 1997, a campionato appena iniziato. E il 1997, il Milan del battaglione nero (Ba, Bogarde, Davids, Kluivert, Weah) è superfavorito per lo scudetto. Arriva decimo, a trenta punti dalla Juve. Il brasiliano Leonardo, multiruolo, multilingue, si presenta e dice: «Io sono un cittadino del mondo». Poi aggiunge: «Cittadino e viaggiatore».

Il primo anno è oltremodo tormentato. Per Capello, Leonardo rappresenta l’uomo capace di dare il cambio di velocità alla manovra. Il motore del Milan ha altri cavalli che garantiscono qualità, come Albertini, Boban oppure Maini. Da Leo ci si aspetta il guizzo imprevedibile, e per gran parte della stagione l’idea latita. Tra i motivi del rendimento di Leonardo al di sotto delle aspettative c’è una fastidiosa pubalgia. Da quando è arrivato in Italia dal Paris Saint Germain, Leo si porta dietro il malanno, la preparazione diversa lo costringe a una corsa a inseguimento, peraltro resa piu’ irta di difficoltà dai continui balbettii del gruppo rossonero. Leonardo è duro con se stesso: “Ma se non gioco bene non cerco di giustificarmi e di trovare scuse con i dolori alle gambe

A fine stagione Fabio Capello lascia, e da Udine arriva Zaccheroni. Il suo recupero a tempo pieno è uno degli obiettivi del nuovo tecnico rossonero fin dall’inizio della stagione. Al Zac serve un giocatore fantasioso, ma tatticamente intelligente, uno capace di spingere se stesso e di liberare in area i compagni, di affiancare Bierhoff e Weah e di sapersi alternare loro con la classe e l’imprevedibilità. Compito perfetto per Leonardo, calciatore eclettico e, perchè no, geniale. Uno con la scelta di tempo giusta e con tanto senso della misura, appunto. Leonardo è finalmente il giocatore che tutti aspettavano al Milan fin dalla stagione precedente.

Il Milan vince uno splendido scudetto dopo una lunghissima rincorsa sulla Lazio. Un titolo luminoso come la bella faccia di Leonardo. Ha ventinove anni ed è nel pieno della maturità. Gioca bene e fa 12 gol, 2 in un derby. Lo chiamano Leo e sorride sempre, vede tutto positivo. Parla di valori, conoscenza e felicità. Usa anche le parole globalizzazione e meritocrazia.

Ma Leo non si ferma mai e nel suo periodo in rossonero si trova a pensare di andare via da Milano in due occasioni: la prima nel 1999, subito dopo la conquista dello scudetto, quando, fu preso dai dubbi sul suo futuro nel Milan. Le parole convincenti di Adriano Galliani e di Alberto Zaccheroni lo rassicurarono, i progetti di fuga rientrarono. Alla fine del Duemila, dopo un periodo trascorso tra l’infermeria e la panchina, Leonardo si chiese un’altra volta se non fosse il caso di cercarsi un’altra sistemazione. Ma una serie di buone prestazioni, soprattutto una partita da incorniciare a San Siro in coppa Italia, con tanto di doppietta, trattenne a furor di popolo il numero 18 rossonero. A fine stagione 2000/01 gli scade il contratto: «È giusto che vada via, dopo quattro anni molto positivi. Sono contento di tutta la mia esperienza e per tutto quello che ho imparato. Il Milan deve cambiare, deve prendere giocatori più giovani, è una cosa normalissima»

Decide di tornare in patria, dove gioca prima nel San Paolo e poi nel Flamengo. Superando di volta in volta vari infortuni, pensa più volte a ritirarsi dal calcio agonistico, tuttavia decide a sorpresa di ritornare al calcio giocato nel mese di ottobre del 2002, quando il Milan lo vuole ancora con sé. La nuova esperienza italiana è però molto breve e nel marzo del 2003 termina definitivamente la carriera di giocatore.

Chissà quante volte avrà pensato alla sua terra natia, il Brasile, lui giramondo del pallone, autentico campione con la valigia sempre pronta, con il fuso orario sempre da adattare, con una lingua nuova da apprendere, chissà se la saudade ha colpito anche lui, magari rimuginando le calde spiagge di Copacabana e Ipanema, o forse i colori del carnevale di Rio, oppure gli odori ed i sapori tipici di quel mondo lontano, o se la musica di Gilberto Gil o Caetano Veloso sono riusciti a scalfirlo, a farlo sentire solo almeno per una volta, a farlo assomigliare a suoi colleghi carioca, sempre nostalgici verso la loro patria lontana, sempre impazienti di rivederla e di riassaporarla.

Ha conosciuto i campionati di tre continenti giocando in Brasile, Spagna, Giappone, Francia e Italia e dovunque sia stato ha sempre lasciato ottimi ricordi, ricordi carichi di magie mancine di rara classe. Leonardo è stato sicuramente uno dei calciatori più intelligenti del panorama mondiale, qualità che gli ha permesso di girare la terra in lungo e in largo con grande disinvoltura. Per molti questo giocatore è stato l’essenza del bel calcio, come lui stesso ha saputo dimostrare in più di un’occasione.