Italia-Francia: Antiche Ossessioni

Dalla Gioconda a Zidane: un’analisi storico-sociale-pallonara dei rapporti di odio e amore tra l’Italia e i nostri cugini d’oltralpe. Ecco da dove nascono le antiche ossessioni e le rivalità profonde


Dopo aver dato alla Francia due regine, un cardinale-re, un imperatore, un primo ministro e un capitano della nazionale, finalmente a Berlino 2006 ci siamo ripresi qualcosa…
Storie di antiche ruggini quelle tra Italia e Francia. «L’Italia non è un paese povero; è un povero paese» diceva De Gaulle. Fu Giovanni Agnelli a ricordarlo, alla vigilia di Italia-Francia, quarti di finale del Mondiale ’98. In campo avevamo ancora Bergomi e già Cannavaro. Pessotto marcava Zidane. Passarono loro: Di Biagio calciò l’ultimo rigore sulla traversa. Era la terza volta (ottavi ai Mondiali dell’86, in Messico e un’amichevole di sei anni prima, al Parc de Princes) che la Francia batteva l’Italia in quasi 90 anni di calcio.

Non si sa cosa sarebbe la Francia senza Caterina e Maria de’ Medici, senza Mazzarino e Napoleone (in realtà né francese né italiano ma corso), senza Gambetta e Platini. È certo invece che, senza la Francia, l’Italia non ci sarebbe: assenti i piemontesi sul campo di Magenta, dove gli zuavi aprirono le porte di Milano e accolsero gli alleati in ritardo con urla di scherno; cruento ma marginale lo scontro di San Martino, nel quadro della grande battaglia d’incontro vinta da Napoleone III su Francesco Giuseppe; e di Lombardo-Veneto a lungo non si parlò più.Dieci anni prima, però, era caduto sotto il piombo francese Goffredo Mameli; il cui Inno gli azzurri hanno finalmente imparato.

Italia-Francia fu la prima partita della storia azzurra: 15 maggio 1910, Arena di Milano; 6-2 per noi. Se è per questo, nel ’25 a Torino i gol furono 7, con tripletta di Baloncieri e doppietta di Levratto, quello che spaccava le reti. Un dominio quasi imbarazzante. Giocano in casa anche nel ’38 i francesi, ma vengono travolti a Parigi per 3-1; gli azzurri di Pozzo, che non appartiene all’antifascismo torinese, dominano al punto che pure i fuoriusciti, dopo aver fischiato a Marsiglia l’esordio con la Norvegia, finiscono per applaudire la doppietta di Piola e il gol di Colaussi, che si chiama in realtà Colàusig. Hanno trovato riparo in Francia Nenni, Turati, Sereni, Saragat, Pertini, Amendola, Lussu, Valiani, Pajetta, Nitti, Trentin, Buozzi.

L’anno prima i fascisti della Cagoule hanno assassinato i fratelli Rosselli. Una delle figlie di Bruno Buozzi, fucilato dai nazisti in fuga da Roma, sposerà il futuro segretario del partito socialista francese Gilles Martinet. Ambasciatore di Mitterrand a Roma, Martinet ci ha lasciato nel suo libro «Les italiens» i ritratti di Andreotti, Craxi, Bobbio, Rossanda, Fellini, Agnelli, De Benedetti, Maraini, Eco.

Un mese dopo la vittoria al Mondiale del ’38, Gino Bartali vince il Tour: «Ils gagnent tout, ces italiens» brontola Albert Lebrun, presidente della Repubblica che non ci ama più di De Gaulle. Due anni dopo il Duce dichiara guerra alla Francia, l’alleata del 1859 e della Grande Guerra. «Nizza, Savoia, Gibuti, Tunisi». Reparti alpini si ammutinano: non vogliono combattere nelle terre dove d’estate emigrano per lavorare. A Torino Edgardo Sogno spalanca le finestre perché i vicini ascoltino la radio francese che trasmette la «Marseillaise». Finisce con migliaia di italiani congelati – a giugno -, i tedeschi a Parigi e i francesi che rifiutano di chiedere l’armistizio a un nemico che non li ha battuti…

Tornando al calcio giocato, la finale europea del 2000 l’avevamo quasi vinta. Quella volta Pessotto, libero da impegni di marcatura, crossa da destra la palla del gol di Delvecchio. L’unico errore di Cannavaro costa il pareggio. Avevano inventato una regola assurda e per fortuna dimenticata, il golden gol, che distrugge la legge fondamentale del calcio (e non solo): non è mai finita finché non è finita. Il golden gol lo segna il giovane Trezeguet, franco-argentino appena comprato da Moggi per la Juve. Zidane non va oltre il 6 in pagella, ma Berlusconi che non ama Zoff lo critica per non averlo fatto marcare a uomo. Il galantuomo Zoff si dimette.

Zidane, Henry, Thuram, Trezeguet e altri, da Djorkaeff a Deschamps, hanno quasi sempre parlato bene dell’ Italia. «Il merito dei successi francesi è anche vostro». Abbiamo insegnato ai Blu a batterci.
L’ossessione dei francesi per l’ Italia è antica. 1575: da quasi un secolo le armate di Carlo VIII, Luigi XII, Francesco I percorrono l’ Italia nel vano sogno di conquistarla, quando François Hotman, uno degli spiriti più brillanti del Rinascimento d’ Oltralpe, denuncia: «Lione è piena di finanzieri italiani; Parigi, pure. Le fattorie e le rendite di tutti i vescovi e di tutte le abbazie sono nelle mani degli italiani, che succhiano il sangue e il midollo del povero popolo francese».

La Francia aspirante conquistatrice fu conquistata dai banchieri lombardi e dai mercanti genovesi, come ha dimostrato Jean-Marie Dubost nel suo «La France italienne». Il prestigio degli italiani è tale che i francesi affidano loro pure la guerra: Giuseppe Gamurrini comanda l’ esercito di Luigi XIII; Richelieu manda ad assediare La Rochelle Pompeo Targone. Non tutti fanno fortuna: Concino Concini, Rasputin di corte grazie all’ influenza della moglie astrologa e fattucchiera, cade in disgrazia, viene assassinato e poi fatto a pezzi dalla folla.Tre secoli dopo, ad Aigues-Mortes, finiranno linciati anche gli emigrati che fanno crollare i salari in Provenza.

Lo scontro e lo scambio non sono mai finiti. L’Italia esporta Coluche e Belmondo, la Francia le fa riscoprire Paolo Conte e Gianmaria Testa. Il Milan esporta Simone e importa Dugarry, Desailly e Papin. Si chiamava italiens de Paris il gruppo di de Chirico e de Pisis (Modigliani era già morto). Molto prima di Platini, Agnelli voleva comprare il centravanti Kopa, mandò a vederlo Rosetta che riferì: «Non è da Juve». E poi le fughe di Mitterrand a Venezia, seguito da Lang e ora da Pinault, e l’esilio parigino di Calvino e Fruttero&Lucentini.

Le vacanze romane di Sartre e Simone de Beauvoir e le zampate a Pigalle del giovane chansonnier Berlusconi («Chirac ce l’ha con me, ma alle donne francesi sono sempre piaciuto moltissimo»). La commistione è tale che si fatica a distinguere, e la Gioconda che Leonardo porta con sé nei castelli dei Valois – seguito da Primaticcio, Niccolò Dell’ Abate, Rosso Fiorentino – è considerata dai turisti sulle orme di Dan Brown un quadro francese.

I Blu sono ora molto temuti: come ci ha ricordato il novarese Platini, «è dal 1978 che gli azzurri (rigori a parte) non vincono contro di noi. Noi del resto contro gli azzurri abbiamo perso per ottant’anni. Quindi abbiamo ancora parecchio margine».
Ogni sfida contro la Francia vede l’Italia entusiasta, ma nel contempo angosciata: perdere da chiunque, ma dalla Francia no.

Forse è colpa di un grande equivoco: gli italiani pensano di essere disprezzati dai francesi, che invece li amano; pur sentendosi migliori di loro. Ed è per questo che, come ricordava ancora Agnelli, «i francesi possono vincere o perdere; ma, se a batterli è l’Italia, la cosa li fa soffrire di più».