KILPIN Herbert: l’uomo che inventò il Milan

PROLOGO

“Chissà cosa immaginavano fosse il football” così Herbert Kilpin, che fu tra i fondatori del Milan, descrisse l’agitarsi sconclusionato in campo dei giocatori italiani, ancora digiuni di tecnica ma, soprattutto, di stile, in quelle partite di fine secolo.
Mi si precipitavano addosso alla massima velocità, ma io li mandavo lunghi per terra, con un colpo d’anca di cui allora solo gli inglesi conoscevano il segreto“.

Con Kilpin appare già il calciatore che impone una disciplina al proprio fisico e che sa già valutare il fenomeno sportivo come una pratica quasi scientifica. E poi fu il primo a sottoporsi a un regime alimentare e a un tenore di vita regolare, impedendosi ogni eccesso vitaiolo nella stagione agonistica, che allora andava da marzo all’autunno. Un asceta, insomma, capace così di vincere lo scudetto ancora a 37 anni, nel 1907, e di giocare fino alla vigilia della Grande Guerra, avendo così il raro privilegio di poter prendere a calci il “figlio di Dio” , come era chiamato Renzo De Vecchi, il grande terzino genoano, capitano della nazionale italiana.
Ragazzino irriverente, rubò più volte palla in allenamento al maestro inglese, che così lo ripagò.

PRIMI CALCI IN INGHILTERRA

Ma torniamo ancora indietro, a quando Kilpin, nato a Nottingham in Inghilterra il 24 gennaio 1870, tirava i primi calci al pallone che nella terra d’Albione conquistava già le prime imponenti folle.
C’era un nome italiano comunque nel destino di Herbert, ed era quello di Garibaldi. Così, con il cognome dell’eroe di Caprera che l’Inghilterra amava e che aveva avuto anche un celebrato meeting con la regina Vittoria, si chiamava un piccolo club con il quale Kilpin aveva cominciato a giocare e del quale, a tredici anni, nel 1883, era già ala destra.
Raccontava più tardi: “C’erano 300 club a Nottingham in quegli anni. Il Comune affittava i campi dell’ Halfha Crown Ground, con tariffe differenti a seconda dell’ora“.

Ed era comunque un’ organizzazione piuttosto complessa che però indicava il gap di diffusione sociale, di base di praticanti, che le altre nazioni avrebbero colmato solo trent’anni dopo. Nell’epoca dei 205 spettatori di Ponte Carrega, furono in 40mila a Glasgow ad assistere alla vittoria dell’Inghilterra per 3-1 sulla Scozia. Ma quelli erano semidei del calcio, un empireo al quale neanche Kilpin fu assunto.

SBARCO IN ITALIA

Lasciata l’Inghilterra, raggiunse l’Italia e Milano nel settembre del 1891 e si incontrò presto con Savage, un altro globetrotter che passava la gioventù a predicare il football.
L’amico mi invitò a giocare, non conoscevo né i compagni, né gli avversari. Mi tolsi la giacca, rimboccai i pantaloni nuovi e giocai. Gli altri non erano un numero preciso: entravano ed uscivano, avevo l’ impressione che a un certo punto fossero almeno venti contemporaneamente in campo. Anche perché non c’era l’ arbitro. Però ugualmente vincemmo per 5-0“.

Prendeva il treno per andare a giocare con la FC Torinese e per l’Internazionale di Torino ma con il sogno di lanciare la grande sfida da Milano, dove gruppi di appassionati (i soliti svizzeri e inglesi, più qualche italiano) meditavano di contrapporsi alla forza dei genoani.
E fu proprio in un brindisi con i maestri di Genova, che il dado fu tratto. Kilpin si alzò, sollevò il calice e guardando Pasteur proclamò: “Fonderò un club e vi batterò

Campionato 1907, si affontano Milan e Torino. A sinistra i rossoneri Trerè e Kikpin, a destra Mutzel

E FU MILAN…

E cavallerescamente, davanti ai tovaglioli sparsi sulla tavola, brindarono al club non ancora nato anche gli anglo-genovesi. Fu ancora un diplomatico inglese, il viceconsole Edwards, a coagulare intorno a sé i frequentatori della fiaschetteria toscana di via Berchet (per lo più inglesi) con gli aficionados della birreria Spaten (per lo più italiani, alcuni reduci dalla Svizzera), e ad assumere il 18 dicembre 1898 la presidenza del club appena nato.

E a Kilpin, che di quella squadra era il talento migliore, e ne fu capitano per dieci anni, furono sufficienti appena due anni per rispettare l’ impegno preso a tavola con Pasteur.
Ebbe l’aiuto di Angeloni, Davies, Allison, altri nomi dei giocatori-fondatori. Sotto un’acqua torrenziale, sono più di 500 gli appassionati che un anno dopo seguono una partita contro il Genoa, al campo Trotter, situato dov’è oggi la stazione Centrale.

A Milano c’è una “passione” che, fatte le debite proporzioni, appare subito ancora maggiore che nelle altre città.
E tra i gentiluomini che partecipano alla nascita della società c’è Mr. Heyes con la famiglia, moglie, due figli e una figlia, la bella Marta.

Arrivano tutti al campo con i pattini a rotelle, per cercare di non affondare nel fango. E Marta, qualche volta, scende anche sul terreno di gioco.
Me la ricordo con quale coraggio e forza si lanciava contro l’halfback avversario” dirà Kilpin, ignorando così di tratteggiare il carattere di una delle prime giocatrici di pallone in Italia.

Non che i giocatori fossero meno pittoreschi. C’era nel Milan un olandese, Knoote, che seguiva anche una sua carriera di cantante lirico. La sua preoccupazione maggiore era, naturalmente, quella di salvare la voce. Giocava solo se c’era terreno asciutto e il sole: prima di arrivare al campo passava sempre in Galleria per consultare il barometro che lì era appeso e sapere come buttava il tempo. E se era già in campo, alla prima goccia spariva.

Ma lo spirito galileiano con il quale Knoote affrontava il match e i suoi risvolti meteorologici non era poi così lontano dalle premonizioni dietetiche che guidavano Kilpin.
Il quale, tra l’altro, giocava in genere con un cappello in testa, il classico “cap” anglosassone, passato poi, per metonimia, a indicare le presenze in nazionale.

SUGLI SCUDI

La realtà, comunque, è che il Milan costruì subito una squadra in grado di opporsi al Genoa e nel 1901 venne a sorpresa la prima vittoria rossonera, con un netto 3-0 che altre fonti riportano come un
1-0, anche se questi attenuatori sembrano perlopiù di parte genoana.
Poi, in una bella mattinata del 1905, Kilpin si sposò, salvo lasciare subito la moglie, essendo chiamato a più ardui compiti in mediana. C’era da affrontare il Grasshoppers e, a sera, tornò con un naso gonfio e sanguinante per un colpo ricevuto. Si ignora se l’infortunio abbia influenzato la celebrazione più intima…
La stella del Milan fu subito oscurata dall’Internazionale, nata nel 1908, e che impose il gioco preciso fatto di passaggi brevi e rapido degli svizzeri (Peterly, Aebi, Schuler, Engler, Zoller).

L’EREDITA’ DI KILPIN

Kilpin, vinti i tre scudetti con il Milan, ebbe anche una sua carriera di arbitro, com’era costume in quei tempi.
Sotto una pioggia battente, un bel giorno vide il proprio guardalinee, Canfari, che poi sarebbe diventato anche presidente dell’Aia, aprire un ombrello e ficcarcisi sotto.
Kilpin si precipitò furente dal suo collaboratore e gli ordinò di chiuderlo. “Mi bagno io, si bagni anche lei”.
Lasciava così il suo messaggio, Herbert Kilpin l’asceta, giusto in tempo per vedere che gli italiani cominciavano a capire (non molto, ma almeno cominciavano) cosa fosse il gioco del calcio.
Morì prematuramente per malattia il 22 ottobre 1916.