Gianni Brera: Italia 1970 vs Italia 1982

Ogni squadra vive lo spazio d’un torneo, che corrisponde al mattino d’una rosa: e si batte in clima e in altitudini particolari, contro avversari che l’antica saggezza del sangue italico finge di accettare al punto da subirne l’iniziativa: poi, fatta la parata, si risponde a sorpresa in spazi comodi, e magari si combinano sfracelli. Ora, proprio questa considerazione m’induce a credere che la nazionale 1970 e la nazionale 1982 giocherebbero una partita paragonabile al duello di Tecoppa, famosa maschera meneghina portata alla ribalta dal comico Ferravilla.

La nazionale allestita da Valcareggi giocava un povero calcio, da vera e propria caisse à èpargne (così ebbe a definirla un collega belga, Herbautz): aveva due centravanti formidabili, Riva e Boninsegna, un centrocampo fondato su un mulo da corsa, Domenghini, su Bertini, stangatore emerito, su De Sisti, ragionierino del calcio, e su due grandi mezzi-giocatori: Rivera e Sandro Mazzola. La migliore idea di Valcareggi fu di sfruttare i due “grandi-mezzi” come se fossero Uno, con la staffetta: Mazzola partiva il primo, sapendo recuperare e difendere; Rivera entrava quando il ritmo era più blando e poteva costruire con maggiore agio per le punte. Difendeva meglio Mazzola e quindi era più gradito a centrocampisti e difensori; costruiva meglio Rivera, e quindi era meglio accetto alle punte, specie a Riva.

La nazionale del 1970 passò il primo turno segnando un solo gol alla Svezia (1-0) e pareggiando senza reti con Uruguay e Israele. La Svezia marcò in sleale raddoppio Riva, che sbagliò quattro palle-gol e uscì di senno. Io tuttavia scommisi con Sivori che l’apparizione di Mazzola interno garantiva risultati insperatissimi: Sivori non sapeva dei precedenti e storceva il naso. Il secondo turno iniziò con il Messico a Toluca, dove giovò agli azzurri la maggiore altura (2740) rispetto a Città Messico (2250): il Messico scoppiò malamente dopo un tempo e ne prese 4 (a 1)! Con questa partita prese avvio definitivo la staffetta Mazzola-Rivera: i nesci della pelota, giuocando sui sentimenti, avversarono il solo stratagemma che consentì a una squadra mediocre di arrivare alla finale. Non escludo comunque che i migliori centravanti siano stati il povero Franchi e l’arbitro De Leo.

La Nazionale dei “messicani”

In finale ci fu crisi di appagamento (secondo l’intuizione di Mandelli) e la ribellione dei ciompi invidiosi contro Rivera, che Valcareggi fu costretto a escludere. La partita più memorabile di quel mondiale fu la semifinale con la Germania Ovest. Finì 4-3. I tedeschi avevano nei garretti le ruggini dei supplementari con gli inglesi, malamente traditi dal portiere di nome italiano. L’arbitro giapponese era allievo di De Leo. L’ultimo gol venne segnato da Rivera, che aveva appena propiziato il 3-3 dei tedeschi. Albertosi voleva strozzare Rivera, che se ne andò mestamente avanti mentre Bonimba spendeva le ultime energie in un’eroica sgroppata sull’ estrema sinistra: il portiere tedesco si aspettava il cross e si piazzò sul secondo palo: Bonimba traversò basso all’indietro e incontrò felicemente l’incredulo interno destro di Rivera, che battè a colpo sicuro sul primo palo.

Pensai, riflettendoci, al duello fra Achille e Ettore sotto le porte Scee. Achille scagliò la lancia: Ettore la schivò: Pallade Atena la raccolse per ridarla al Pelide: allora il prode figlio di Priamo si accorse che la sua sorte era segnata. Una Pallade Atena che poteva benissimo chiamarsi Eupalla evitò a Rivera lo strangolamento da parte di Albertosi e gli offrì benigna la palla di Bonimba che significò il suo trionfo. In finale non giocò Rivera, i cui lanci sarebbero stati utili. Riva e Bonimba non ebbero un passaggio decente se non da Piazza, brasileiro. L’arbitro ci protesse (ah, vecchio Artemio) ma ormai correvamo sui glutei, come marmotte paralitiche. Gli italiani del Brasile ci evitarono la melinatura finale e fu 4-1.

I napoletani Palumbo e Ghirelli, molto bravi nell’interpretare i sentimenti umani, non già nel capire il calcio, deplorarono Valcareggi per aver escluso Rivera e per poco non indussero i romani (dico la nobile plebs romana) a linciare Mandelli, Valcareggi e gli altri “venditori” del titolo mondiale. C’era di che sprofondare. Palumbo venne elevato agli altari e santificato secundum justitiam. Ghirelli dirige l'”Avanti” con la bravura che tutti gli riconoscono (pur io).

La squadra mondiale 1982 finì per giocare un calcio più nobile. All’avvio pareva non valer nulla. Bearzot aveva già inventato il meglio nel ’78 (quanto a modulo): in Spagna aveva due centravanti: il redivivo Rossi e il buon Graziani, più generoso che bravo. In centrocampo, Tardelli, Antognoni e Oriali, ai quali però si aggiungeva un omarino prodigioso: Bruno Conti.

La squadra iniziò penosamente: fece 0-0 con la Polonia (vana una traversa di Tardelli). Fece 1-1 con il Perù (partita peggiore in assoluto) e 1-1 con il Camerun. Si classificò seconda del gironcino per aver segnato la miseria di un gol più del Camerun, pure imbattuto. Così le toccò il secondo turno con due squadre snervate dal caldo e rovinate dalla presunzione: Argentina e Brasile. L’arbitro dell’Argentina era favorevole a Franchi e consentì a Gentile di far ammattire Maradona. L’Argentina era piena di presunzione e beccò due reti (segnandone una su punizione, quando ancora l’arbitro doveva fischiare, con Passarella). Menotti, grande ciolla, disse che gli italiani non giocavano al calcio: impedivano semplicemente di giocarlo agli avversari.

Gli Azzurri mondiali 1982

I brasiliani vennero informati su di noi da Altafini, noto geniaccio della pelota, e da Falcao: lo confessò Zico a Udine, nel suo candore: “Pensavamo di darvene cinque”. Invece ne presero 3, dandone 2 a noi. Gli bastava il pari per escluderci dalle semifinali: vollero batterci: si offrirono al nostro contropiede: li perdonò l’arbitro (favorevole a Havelange): Rossi subì un fallo da rigore non visto e Antognoni segnò il quarto gol, annullato per fuorigioco assai discutibile. La semifinale con la Polonia venne dominata con due gol di Rossi, l’hom dal partit; la Germania si presentò in tocchi alla finale: non valeva l’Italia. Antognoni si fece male contro i polacchi e Bearzot ebbe la fortuna di poterlo sostituire con zio Bergomi, non ancora diciottenne: costui annichilì Rummenigge e Conti inciuchì tutti, inducendo Briegel a commettere fallo da rigore (che Cabrini sbagliò). Segnarono Rossi (di testa su rimbalzo, incredibile), Tardelli (dolcissimo sinistro sul secondo palo mentre il portiere si spostava sul primo) e Altobelli, servito a pennello da Conti.

Della squadra 1970 avrei preso Riva, Bonimba e, per eventuali staffette, Rivera e Mazzola. La nazionale dell’82 ebbe una fortuna quasi sfacciata: però giocava un calcio più armonioso e sagace di quello fornito dagli azzurri ’70. Dei mundiales 82 furono prodigiosi Conti (il migliore del torneo in assoluto), Rossi, Tardelli e Scirea. Degli azzurri ’70 fu il più continuo Bonimba, seguito da Domenghini e Mazzola, Cera e De Sisti; Riva e Rivera emersero tardi. Per la brutta fine che hanno fatto in Messico, gli azzurri di Valcareggi non mi sembrano da preferire a quelli di Bearzot. Questo penso io. Altri la penseranno a modo loro. Sono padronissimi. Eupalla è una dea, non una sfera: secondo com’è vista può sembrare.

Gianni Brera – Repubblica — 04 marzo 1988