GUTTMANN Bela: il seminatore

La vita e le opere di un allenatore che ha lasciato tracce di sé in tutto il pianeta: dal calcio danubiano al Benfica di Eusebio, passando per gli Stati Uniti, il Milan e tante altre avventure o disavventure. Pochi sanno che lo schema del Brasile più forte di sempre fu inventato da lui…


Béla Guttmann nasce a Budapest il 27 gennaio 1899 in una famiglia di origini ebraiche. I genitori, Abraham ed Eszter, sono entrambi dei ballerini ed iniziano il figlio alla stessa pratica. A sedici anni possiede già la qualifica di istruttore di danza classica, tuttavia preferisce dedicarsi al calcio, sport che sta prendendo sempre più piede nell’area dell’Impero austro-ungarico. Dopo l’ingresso nelle giovanili del Törekvés nel 1914, Guttmann debutta nel 1917 con la prima squadra del club della seconda divisione ungherese. Due stagioni più tardi passa al più quotato MTK di Budapest, società della borghesia austro-ungherese di origini ebraiche; cominciando a giocare come centromediano metodista, ruolo che interpreta con eleganza e che nel calcio dell’epoca costituisce il fulcro della squadra. Vince il titolo d’Ungheria nel 1921 e 1922, preferendo passare l’anno seguente allo Hakoah di Vienna, dal momento che il ritorno di Ferenc Nyul (giocatore prestato al Hagibor Cluj) lo avrebbe costretto ad una posizione di secondo piano. Ad ogni modo, le ragioni del trasferimento non sono solamente sportive; la salita al potere di Miklós Horthy fa infatti precipitare l’Ungheria nell’antisemi- tismo, determinando l’insorgere di un clima avverso nei confronti dei giudei — gruppo etnico cui Guttmann appartiene —, oltre al fatto che il calcio ungherese è appena stato interessato da un vasto scandalo riguardante dei fondi neri.

Già da giocatore Guttmann lascia intravedere gli aspetti bizzarri del proprio carattere e pretende, al momento del suo passaggio allo Hakoah di Vienna, di giocare sempre con una maglietta di seta. La squadra è comunque una delle migliori realtà calcistiche europee del periodo e nel 1923, con Guttmann tra le sue file, ottirnr una prestigiosa vittoria contro il quotato West Ham, finalista della FA Cup e sconfitto per 5-0: è la prima volta che i «maestri» inglesi perdono in casa. Nel 1924 la lega austriaca si adegua al professionismo e lo Hakoah vince il campionato quella stessa stagione (1924-25), quando Guttmann è ormai visto come il maggior talento del calcio danubiano, tanto che il club gli riconosc una retribuzione pari alla quarta parte dei propri introiti.

L’anno successivo (1926) lo Hakoah, mosso dall’intento di raccogliere dei fondi per la causa sionista, intraprende un viaggio negli Stati Uniti per effettuare una serie di dieci partite, in una delle quali la squadra si esibisce di fronte a quarantaseimila spettatori al Polo Grounds di New York, registrando un record di pubblico eguagliato solo dalla NASL nel 1977, più di mezzo secolo dopo. Il calcio in Nordamerica è lungi dall’essere ben conosciuto; Guttmann infatti ricordava: «Quando abbiamo disputato la nostra prima partita a New York gli spettatori conoscevano così male il calcio da confonderlo col football americano. I gol segnati li lasciavano completamente freddi, ma i tiri forti che uscivano ben alti dietro la porta erano presi per i punti del rugby e suscitavano uragani di applausi. Capita l’antifona e dato che stavamo vincendo nettamente ci siamo sbizzarriti a “sparare” lontano. Alla fine mi hanno portato in trionfo». Al termine della tournée alcuni membri dello Hakoah, tra cui Guttmann, decidono di restare in Nordamerica, forti del fatto che molti club della costa orientale degli Stati Uniti sono posseduti da ebrei. Al centromediano magiaro è proposto uno trattamento “stellare” per l’epoca: stipendio di cinquecento dollari mensili, mille di reingaggio a fine stagione e benefit quali il pagamento del viaggio e dell’alloggio.

Béla Guttmann da giocatore in una foto del 1925 con la maglia del Hakoah Vienna

Firma quindi per i New York Giants dell’American Soccer League (ASL). Due stagioni dopo, parlando con altri compagni dell’Hakoah rimasti negli Usa, si improvvisA imprenditore e forma gli gli Hakoah All Stars, una specie di compagnia di giro capace di fare vedere ovunque il mitizzato calcio danubiano. In realtà, lo stesso calcio degli altri ma giocato da elementi più tecnici. Questi Harlem del calcio (curiosamente gli Harlem Globetrotters che tutti conoscono si formano nella stessa epoca, nel 1927) vincono diversi tornei importanti, come lo Us Open del 1929, ma poi Guttmann preferisce tornare a un calcio più organizzato, sempre a New York ma nel Soccer Club, in una neonata lega formata dalla fusione di Eastern Soccer League e ASL. Dopo qualche altro giro con i suoi amici All Star, uno dei migliori calciatori ungheresi di tutti i tempi decide di ritirarsi, con molti rimpianti. Dentro di se sa di aver buttato via gli anni migliori della carriera in un calcio di buon livello ma fuori dalle rotte che contano). Ritorna in Europa nel 1933, deciso a diventare allenatore.

Breve ma da ricordare la sua esperienza con la Nazionale ungherese. Tra il 1921 e il 1924 Guttmann giocasei volte con i magiari, segnando al suo debutto nel giugno 1921 in una vittoria per 3-0 contro la Germania. Più tardi quello stesso mese prende parte ad un incontro con la Selezione della Germania Meridionale. Le restanti quattro presenze le raccoglie nel maggio del 1924 in partite contro Svizzera, Saarland, Polonia ed Egitto (le ultime due sono gare valevoli per le Olimpiadi). Poi più nulla, ed il motivo è decisamente extra-tecnico: durante il ritiro, Guttmann obbietta che nel gruppo ungherese ci siano più dirigenti che giocatori e che l’albergo dove sono alloggiati è più adatto a socializzare che non alla preparazione. Per dimostrare la sua disapprovazione, attacca per la coda dei topi alle porte delle stanze dei dirigenti accompagnatori, determinando così la fine precoce della sua carriera in Nazionale.

Il primo club a concedergli fiducia nel suo nuovo ruolo da tecnico è proprio lo Hakoah, la compagine nella quale ha militato da giocatore, che dirife per un paio di stagioni a partire dal 1933 conducendolo per due volte ad un anonimo decimo posto in classifica. Grazie alla mediazione dell’allenatore della Nazionale austriaca Hugo Meisl (amico del padre), nel 1935 emigra nuovamente questa volta in Olanda, dove assume la guida dell’SC Enschede. Sigla inizialmente un accordo trimestrale e, quando il club decide di prolungarne la durata, Guttmann insiste affinché gli venga riconosciuto un ricco premio in caso di vittoria del campionato. La squadra ha già accumulato cinque punti di distacco dalla prima in classifica, ragion per cui il presidente non esita ad accordare al tecnico quanto richiesto. Allora l’Enschede si risolleva, riuscendo prima a vincere il campionato regionale, poi a competere per la conquista di quello nazionale, attestandosi quale capolista a metà stagione. Poi due sconfitte contro il Feyenoord costringono la squadra a chiudere al terzo posto, ma ciò nonostante la dirigenza è più che soddisfatta, consapevole che la vittoria l’avrebbe obbligata al pagamento del premio pattuito con la conseguente bancarotta del club. La stagione successiva l’Enschede rischia perfino la retrocessione, e Guttmann lascia il club alla scadenza del contratto.

Nel marzo del 1938, quando si trova nuovamente alla guida dello Hakoah, la Germania nazista di Adolf Hitler invade l’Austria ed il club — espressione della cultura giudaica e formato da giocatori ebrei — viene rapidamente dismesso. L’allenatore ripara in Ungheria nell’estate dello stesso anno ed assume la direzione dell’Újpest di Budapest, che conduce alla vittoria del campionato quella stessa stagione, trionfo cui abbina anche la conquista dell’allora prestigiosa Mitropa Cup, antesignana della Coppa dei Campioni. Nel periodo successivo è costretto ad interrompere l’attività a causa della guerra, tornando ad allenare solo nel 1945, quando viene ingaggiato dal Vasas (altro club di Budapest). Presto abbandona anche questo e passa l’anno seguente ai rumeni del Ciocanul, ingaggiato dal presidente ebreo del club per innovare il calcio locale. Guttmann importa enl calcio rumeno metodi di allenamento all’avanguardia. Debuttò in campionato il 26 agosto con una vittoria per 1-0 sul Ferar Cluj, ma rimane in carica solo per tredici turni, fino al 7 dicembre, quando con la squadra al quarto posto rompe con la società a causa delle ingerenze di uno dei dirigenti in questioni di carattere tecnico dando ancora prova di uomo di grande temperamento e irascibilità.

Di ritorno in Ungheria, conduce nuovamente l’Újpest alla conquista del campionato nel 1946/47 e nel 1947/48 guida il Kispest (poi denominato Honvéd), dove dirige un gruppo di grandi giocatori — tra i quali spicca Ferenc Puskás — che di lì a poco costituiranno l’ossatura della Nazionale ungherese degli anni cinquanta. Guttmann rassegna le dimissioni dopo una controversia proprio con Puskás, il quale nell’intervallo di una partita contro il Gyõr intima ad un compagno di squadra, che il tecnico non intende schierare per il secondo tempo a causa del suo gioco troppo aggressivo, di rimanere comunque in campo. L’allenatore segue il resto della partita dalla tribuna, sfogliando una rivista, per poi salire sul tram per tornare a casa senza far più ritorno. Guttmann si convince di aver perso il rispetto da parte dei giocatori, conformemente al suo motto «Controlla la stella e controllerai la squadra».

Nel suo eterno girovagare, non manca una prima “puntata” in Italia. Arrivò nel 1949/50 per guidare il Padova. I calciatori patavini, non eccelsi sul piano tecnico, sono allenati in modo da avere resistenza e brillantezza fisica, ed il Padova raccolse subito delle buone prestazioni grazie alle quali nelle prime tredici giornate del campionato perde solo una volta. Tuttavia dal turno successivo al trentaduesimo registrerà ben tredici sconfitte e, tre giorni dopo la partita del 26 aprile persa per 0-4 in trasferta contro la Juventus, Guttmann viene esonerato senza motivazioni né dettagliate né di natura tecnica ma «Per fatti concreti appurati da indagini ineccepibili che intaccano direttamente la responsabilità personale dell’allenatore […], in modo da far venir meno l’ampia fiducia in lui riposta». Verrà sostituito da Pietro Serantoni, che conduce il Padova ad un decimo posto finale.

Guttmann passa la stagione seguente alla Triestina, e ben presto le accuse mosse al suo indirizzo assumono contorni più definiti; gli viene infatti inflitta una sospensione dall’attività come conseguenza del cosiddetto «caso Monsider». Il tecnico viene accusato per aver ricevuto del denaro per il trasferimento del portiere croato, giocatore acquistato un anno prima dal Padova sotto la sua gestione. Il ricorso presentato è tuttavia accolto e a maggio la CAF dispone la restituzione della tessera federale. Dopo aver ottenuto una sofferta quindicesima posizione in classifica nella stagione d’esordio, durante quella successiva (1951/52) è però di nuovo congedato anticipatamente in ragione dei risultati negativi; il 21 novembre, tre giorni dopo la sconfitta per 0-1 in casa col Torino, la squadra è affidata ad interim all’allenatore in seconda Perron per poi essere rilevata da Mario Perazzolo.

Nel 1953 lo ritroviamo a dirigere il Quilmes, seconda divisione argentina, rimanendo alla guida ddel – dove milita un giovane Humberto Maschio – solo per sei giornate, trascorse le quali viene licenziato. Sempre nel Paese sudamericano prova a raggiungere un accordo col più blasonato Boca Juniors, ma la divergenza tra domanda ed offerta impedisce il buon fine della trattativa; a ciò si aggiungono i problemi di salute della moglie, cui i medici consigliano di soggiornare in una località mediterranea. Detto fatto: nell’ottobre dello stesso anno Guttmann si accorda con i modesti ciprioti dell’Apoel Nicosiama, nonostante il vincolo col club scada solo nel settembre del 1954, viene sciolto già nel novembre del 1953, quando il tecnico torna in Italia ingaggiato dal Milan. Prima di accettare, chiede informazioni riguardanti la squadra al connazionale Lajos Czeizler, al tempo C.T. della Nazionale italiana e già alla guida del Milan nel recente passato, il quale rilascia il suo parere positivo. Guttmann subentra dunque a campionato in corso, alla nona giornata, ad Arrigo Morselli, ma il rendimento incostante impedisce alla squadra di andare oltre il terzo posto ex aequo alla Fiorentina, a sette punti dall’Inter campione.

Il Milan 1953/54: da sinistra, in piedi: Guttman (allenatore), Nordahl, Tognon, Galluzzo, Bergamaschi, Vicariotto, Frignani, Zagatti. Accosciati: Silvestri, Soerensen, Beraldo, Fontana, Piccinini, Buffon

Nel 1954/55 la proprietà del club è rilevata da Andrea Rizzoli, un ricco industriale desideroso di imporsi nel mondo del calcio che allestisce una formazione altamente competitiva, aggiungendo il campione uruguaiano Juan Alberto Schiaffino ad altri importanti giocatori già in rosa comeLiedholm e Nordahl, che assieme a Gren compongono il celebre trio svedese del Gre-No-Li. L’allenatore lancia Cesare Maldini (prelevato dalla Triestina) che sotto la sua gestione tecnica diventa lo stopper titolare della squadra, e istruisce il portiere Buffon ad effettuare delle parate semplici attraverso il suo celebre motto «Piccola cosa più piccola cosa fa grande capolavoro».

Quanto all’attacco dichiara: «Io ho un determinato numero di uomini con caratteristiche ben definite. Devo sfruttarli nel compito per cui sono adatti. Nordahl e Ricagni sono due centravanti e nient’altro. Sta bene. Sørensen è mezz’ala e così pure Schiaffino. Io metto il pompierone svedese e l’argentino [Nordahl e Ricagni] come punte avanzate e faccio lavorare di spola il danese e l’uruguayano [Sørensen e Schiaffino]», mentre l’ala mancina Frignani viene così rassicurata così: «Vedrai che in campionato si accorderanno e tu rimarrai libero come un passerotto, allora i tuoi colleghi ti passeranno palloni su palloni». Il modulo, nonostante le varizioni in avanti, continua a essere in linea al classico WM in difesa, reparto innanzi al quale viene collocato Liedholm, reinventato come centromediano.

L’avvio di campionato è positivo ed il Milan ottiene nove vittorie e un pareggio nelle prime dieci giornate, ma nonostante ciò Guttmann viene a ssorpresa sollevato dall’incarico, con la squadra prima in classifica, dopo diciannove partite, a causa di una flessione di risultati che nei primi sei turni del girone di ritorno fruttano una sola vittoria. Decisiva la sconfitta per 1-3 per mano della Sampdoria, alla quale è nel frattempo passato Czeizler. Le ragioni della scelta, presa dopo una riunione di diverse ore dei vertici societari, vengono addebitate alla scarsa condizione atletica della squadra e dunque alla responsabilità dell’allenatore, ma anche al venir meno della fiducia da parte dei giocatori; quadro fu aggravato prima dai problemi fisici e poi dalla squalifica del regista Schiaffino, elemento fondamentale. nello scacchiere rossonero. Guttmann abbandona il Milan in conferenza stampa sorridendo e facendo un inchino ai giornalisti accorsi affermando: «Sono stato licenziato anche se non sono né un criminale né un omosessuale. Addio». Segnato dall’episodio, da quel momento in avanti chiederà nei suoi contratti la clausola che impedisce alle società di licenziarlo nel caso in cui la squadra occupi il primo posto della classifica.

Guttmann passa la stagione successiva al neopromosso Lanerossi Vicenza, in un’annata segnata da un grave avvenimento extra calcistico: il 2 aprile del 1955, mentre è a Milano alla guida della sua auto, investe due scolari (uno dei quali muore), e per tale reato nel novembre dello stesso anno viene rinviato a giudizio, fatto che lo porta ad abbandonare l’Italia. Il 12 aprile 1956 il Lanerossi comunica la sua sostituzione con Umberto Menti, specificando che «l’appassionato allenatore ungherese […] ha manifestato la sua necessità di riposo». Fino all’8 aprile, data dell’ultima partita diretta da Guttmann (ventiseiesimo turno), la squadra ha raccolto la miseria di ventitré punti che valgono la terzultima posizione in classifica alla pari col Bologna.

Sul finire del 1956, in qualità di direttore tecnico dell’Honvéd, si sposta in Sudamerica per una tournée assieme a celebri giocatori ungheresi come Puskás, Kocsis, Lóránt e Czibor, decidendo di rimanere in Brasile dopo che l’Ungheria si consuma nel sangue la rivoluzione anti-sovietica. Nel 1957 Guttmann assume la guida del San Paolo importano metodi d’allenamento innovativi (celebre un esercizio per migliorarne la mira; appendere ai pali e alla traversa della porta vecchi pneumatici che i giocatori devono centrare calciando il pallone). Si impegna inoltre nel perfezionare le doti dell’ala sinistra Canhoteiro, efficace nel dribbling ma non nel tiro, intrattenendosi alla sera con questi in specifiche sedute dall’allenamento al fine di potenziarne le capacità balistiche.

La squadra in campionato ha un avvio altalenante, ma con l’acquisizione del campione Zizinho centra otto vittorie e due pareggi, vincendo la competizione grazie al trionfo nella partita decisiva contro il Corinthians, avversario in lizza per il titolo, all’ultima giornata (3-1). Nel 1958 Guttmann è prima momentaneamente sostituito per sei partite, a cavallo tra gennaio e febbraio, da Manoel Raymundo, per poi lasciare definitivamente il club a luglio a campionato ancora in corso, dopo averlo diretto per novantasette partite complessive, sostenendo di avere dei problemi personali.

L’allenatore ha comunque il merito di introdurre nel Paese sudamericano il celebre modulo 4-2-4, che verrà ricalcato dalla Nazionale carioca di Vicente Feola in occasione dei vittoriosi Mondiali del 1958 in Svezia. La mossa tattica di Guttmann consiste nell’arretrare, rispetto allo schieramento WM (3-2-2-3) a quel tempo in voga, un mediano a stopper ed un interno a mediano, con la dichiarata intenzione di rafforzare la difesa. Non si tratta di una novità assoluta, bensì di un indirizzo tattico già adottato dal movimento calcistico magiaro.

Successivamente Guttmann torna in Europa, stabilendosi in Portogallo. All’inizio del novembre del 1958 sostituisce Otto Bumbel alla guida del Porto, club col quale siglò un accordo che prevedeva una retribuzione pari a trecento contos annuali, assommari ad altri cento in caso di vittoria della Coppa nazionale. A metà febbraio, la squadra si trova a quattro punti dal Benfica capolista e ad uno dal Belenenses, ma compiendo una rimonta nelle giornate successive riesce ad arrivare all’ultima partita del campionato con lo stesso punteggio dei rivali di Lisbona. La differenza reti decreterà il vincitore ed il Benfica dovrebbe segnare almeno quattro gol in più rispetto al Porto. Il 3-0 impartito da questi alla CUF rende tuttavia vana la vittoria per 7-1 ottenuta dai concorrenti ai danni del Torreense (peraltro anche grazie alla direzione compiacente dell’arbitro Inocêncio Calabote, subito dopo radiato).

Guttmann festeggia quello che egli stesso definirà come il suo successo in campionato più drammatico e, in onore dello stesso, i dirigenti del Porto lo omaggiano con un logo del club in diamanti, ignari che però il tecnico ha già raggiunto un’intesa per l’anno seguente proprio con l’avversario appena sconfitto. È dunque da allenatore in pectore del Benfica che Guttmann dirige ancora una volta il Porto nella successiva finale della Taça de Portugal, che, per ironia della sorte, lo vede contendere il trofeo nuovamente al club lisbonese, il quale se lo aggiudica con una vittoria per 1-0. Conclusa la stagione col sancito cambio di club, Guttmann addurrà come motivazione il clima umido della città di Oporto, che ritiene dannoso per la sua salute, e, come già avvenuto al Milan, il suo posto viene preso da Puricelli.

Per la stagione 1959/60 Guttmann chiede al Benfica un compenso di quattrocento contos annuali più centocinquanta per la vittoria in campionato, cinquanta per la coppa nazionale e duecento per la Coppa dei Campioni; un dirigente, dubbioso circa la possibilità di conquistare l’ultimo trofeo, rilancia dicendo di chiederne non duecento ma trecento. L’allenatore, subentrato al brasiliano Otto Glória, conferma il modulo offensivo del collega ma vi aggiunge maggiore concretezza, tagliando inoltre venti giocatori della prima squadra e promuovendone alcuni dalle giovanil. Allo stesso tempo promuove l’acquisto di José Torres, futura colonna del club. Ancora una volta Guttmann vince il campionato all’esordio con un nuovo club, occasione in cui il Benfica perde solo una partita, all’ultima giornata, contro il Belenenses.

La squadra si aggiudica la competizione anche l’anno successivo, infilando di nuovo diversi risultati positivi, tanto che nell’arco di tutto il campionato perde solo sei punti tra quelli a disposizione. Ma soprattutto, in quella stessa stagione, conquista la sua prima Coppa dei Campioni. Il Benfica sconfigge in finale il Barcellona giocando una gara tatticamente impeccabile, interrompendo così l’egemonia del Real Madrid, vincitore del torneo in tutte le cinque le edizioni precedenti. José Augusto, che disputa quella partita, ricorda che «si rivelò veramente decisivo il contributo di Béla Guttmann, psicologo per eccellenza, esemplare nel modo in cui ci motivò per la partita, mentre forgiava una strategia che puntava allo strangolamento del calcio degli spagnoli, con Neto e Mário João chiamati a svolgere compiti di considerevole importanza, in quanto in attacco, io, Santana e José Águas, Coluna e Cavém tentavamo di fare il resto, sforzandoci di battere una difesa quasi granitica».

Con questo successo, il Benfica ottiene sette vittorie nella manifestazione europea, un record per il club eguagliato quasi trenta anni dopo dalla squadra allenata da Sven-Göran Eriksson nel 1989/90 e superato nel 2009/10, ma in Europa League, da quella di Jorge Jesus. Nel costruire quella formazione, Guttmann fa affidamento su quattro giocatori provenienti dalle colonie portoghesi in Africa: l’attaccante José Águas, il portiere Costa Pereira e i centrocampisti Joaquim Santana e Mário Coluna. Nel 1961-1962 il Benfica si rafforza con l’ingresso in squadra in pianta stabile di un altro calciatore di origine africana, il mozambicano Eusébio (arrivato al termine della stagione precedente). Guttmann gioca un ruolo fondamentale nell’acquisizione del bomber preoccupandosi inoltre di far ambientare il nuovo giocatore (allora diciottenne), incoraggiandolo e invitando i compagni a stargli vicino. L’inserimento dell’attaccante, determinante in quella stagione, lo porta a cambiare in parte l’assetto della squadra, facendo in modo che la posizione di Mário Coluna venga arretrata ed ottenendo una propensione offensiva ancora più spiccata.

La stagione comincia negativamente. In forza della conquista della Coppa dei Campioni dell’anno precedente, il Benfica disputa la Coppa Intercontinentale contro il Peñarol Montevideo, perdendola dopo tre confronti (vittoria per 1-0 al primo, sconfitta per 0-5 al secondo e per 1-2 ai play-off); Guttmann litiga con la dirigenza accusandola di aver mal organizzato la trasferta, uno dei motivi che a fine annata lo porteranno alla rottura col club. L’allenatore lascia poi tutti di stucco quando alla vigilia della semifinale di Coppa dei Campioni contro il Tottenham Hotspur annuncia che al termine della stagione avrebbe abbandonato il club, aggiungendo inoltre che avrebbe gradito allenare in Inghilterra; ma si trattava in realtà di una mossa volta a disturbare gli avversari col clamore destato presso la stampa, visto che la decisione era stata presa già da tempo.

Il Benfica, dopo aver sconfitto gli inglesi in una difficile semifinale, giunge all’atto conclusivo del torneo per il secondo anno di seguito, con avversario il Real Madrid di Puskás e Di Stéfano. Il primo tempo si conclude col punteggio di 3-2 per gli spagnoli, ma nello spogliatoio Guttmann, davanti ai giocatori delusi, dirà: «La partita è vinta. Loro sono morti». Nella seconda parte dell’incontro opera un cambiò determinante, assegnando a Cavém la marcatura di Di Stéfano al fine di privare Puskás dei rifornimenti; il Benfica stravince per 5-3, grazie anche ad una doppietta di Eusébio.

Il campionato invece si conclude al terzo posto, e quando la stampa chiede a Guttmann il perché della mancata vittoria, risponde con un’altra frase divenuta celebre: «Il Benfica non ha il culo per sedersi su due sedie». La conquista della Coppa dei Campioni lo induce tuttavia a chiedere il pagamento di un premio, ma la dirigenza glielo nega affermando che nel contratto non è presente una clausola contenente tale previsione. Guttmann risponde: «Ho avuto quattromila dollari in meno per aver vinto la Coppa dei Campioni rispetto al Campionato portoghese. Nessun tentativo è stato fatto dai dirigenti per cambiare la situazione» e, come conseguenza, lancia una maledizione: «Da qui a cento anni nessuna squadra portoghese sarà due volte campione d’Europa ed il Benfica senza di me non vincerà mai una Coppa dei Campioni». Maledizione finora rispettata…

L’annunciata conclusione del rapporto col Benfica ha intanto attratto l’attenzione del giornale londinese Evening Standard, il quale dedicato al fatto la prima pagina, ed il Port Vale, sprovvisto di un allenatore, propone un ingaggio a Guttmann, che però non se la sente di dirigere una squadra della terza divisione inglese. Emigra dunque in Uruguay ed allena il Peñarol, la squadra che l’anno prima ha sconfitto il Benfica nella Coppa Intercontinentale, già due volte vincitore della Copa Libertadores grazie alla presenza di importanti giocatori, tra i quali Alberto Spencer e Juan Joya.

Prova subito a cambiare il modo di giocare, imponendo ai calciatori di passare rapidamente il pallone, ma la tattica si rivela di difficile attuazione sia perché il calcio uruguaiano è tipicamente propenso alla difesa e al contropiede, sia perché molti giocatori sono ormai giunti all’età matura e dunque refrattari a mutare abitudini di gioco ormai consolidate. Altri aspetti controversi riguardarono alcune scelte tattiche discutibili (in una partita schiera l’attaccante Julio Abbadie da terzino sinistro e in un’altra il terzino Matosas da centrocampista centrale) e la lingua, dato che l’allenatore non parla lo spagnolo e si arrangia mischiando portoghese ed italiano. Nella Copa Libertadores la squadra, campione in carica, raggiunge comunque la finale, perdendola contro il Santos dopo tre incontri. La parentesi di Guttmann col Peñarol dura appena cinque mesi e viene sostituito in ottobre da Peregrino Anselmo, che conquista la vittoria in campionato.

Nel 1963 il Benfica prova per la prima volta a riportare Guttmann alla guida della squadra, insoddisfatto del gioco troppo difensivo avuto nella prima stagione senza la sua gestione tecnica, ma il compenso da lui richiesto è ritenuto eccessivo. Curioso il motivo di tanta pretesa: secondo Guttmann il Benfica da lui costruito aveva continuato a vincere, facendo sì che il club avesse potuto guadagnare molto grazie al suo operato e, di conseguenza, avrebbe dovuto riconoscergli ciò con un emolumento adeguato. Non male come ragionamento!

Dopo aver rifiutato un’offerta dello Sporting Lisbona per non volere affrontare il Benfica come avversario, Guttmann se ne torna in Austria. Nel marzo del 1964 viene nominato supervisore della Nazionale affiancando Josef Walter, mentre contestualmente Joschi Walter diventa Capitano Federale dell’ÖFB. Quest’ultimo rassegna le dimissioni in ottobre stante le difficoltà a riformare il sistema — scopo prefissatosi — e Guttmann fa altrettanto[126], spinto anche da una campagna stampa antisemita nei suoi confronti.

Il Benfica si fa di nuovo avanti per la stagione 1965/66 e Guttmann questa volta accetta, andando tuttavia incontro ad un’annata senza successo. Nella semifinale di Coppa dei Campioni contro il Manchester United arriva un pesante 1-5 interno ed in ragione della sconfitta il Dipartimento calcistico del club propone alla Direzione il licenziamento dell’allenatore, ma questa preferisce una soluzione alternativa e meno estrema, consistente nell’affidare il ruolo di «allenatore di campo» a Fernando Cabrita.

Nel 1966 è ingaggiato dagli svizzeri del Servette, quando il presidente della società, Marcel Righi, solleva dall’incarico l’allenatore-giocatore Roger Vonlanthen come conseguenza dei deludenti risultati avutisi in avvio di stagione (quattro sconfitte consecutive in campionato). Al termine del girone d’andata Guttmann conduce la squadra a nove punti dalla capolista Zurigo, ma viene eliminato dalla Coppa Svizzera. L’allenatore incrina anche i suoi rapporti con la stampa per aver millantato di aver vinto il Campionato italiano con il Milan, abbandonando definitivamente il club di sua spontanea volontà nel marzo del 1967, con la partita persa contro lo Slavia Sofia ai quarti della Coppa delle Coppe, costata l’esclusione dalla competizione. Nella restante parte del 1967 ha una breve e negativa esperienza coi greci del Panathinaikos, dopo la quale rimane inattivo per alcuni anni, fino a quando prende la guida dell’Austria Vienna dal marzo del 1973 fino al termine della stagione.

L’annata successiva il Porto gli affida nuovamente la squadra, ma il rapporto si interrompe in dicembre in circostanze tragiche. Al tredicesimo minuto della tredicesima giornata di campionato, il centrocampista della squadra Pavão muore in campo per ragioni mai del tutto chiarite; l’autopsia stabilisce che il decesso è causato da una lesione delle capsule renali dovuta ad un brusco scarico di adrenalina, che però non si riesce a spiegare. Guttmann in passato è già stato sospettato di aver fatto ricorso al doping, ed in particolare è noto che la moglie di Costa Pereira, giocatore del Benfica, lo aveva redarguito perché il marito passava delle notti insonni in stato di euforia, a suo dire dovuto alla somministrazione di strane pillole; Guttmann nega e assicura che si tratta solo di vitamine, aggiunte, talvolta di nascosto, nella minestra servita ai calciatori, oltre ad offrire loro un infuso di limone caldo e molto zuccherato. Dopo l’episodio l’allenatore lascia il club e fa ritorno a Vienna, terminando allo stesso tempo la sua lunghissima carriera.

Un allenatore non si giudica solo dalle vittorie, che comunque sono state tante, in dieci nazioni, ma da come ha plasmato il materiale umano a sua disposizione: e Guttmann ha migliorato la somma dei valori individuali quasi di ogni gruppo avuto a disposizione. Tanti club ma anche tante nazionali, prima di ritirarsi, nel 1974. Vecchiaia serena nella Vienna che sentiva sua più di una Budapest nella quale era ormai sgraditissimo. Nel 1981 Bela Guttmann lascia questa terra, dopo aver fatto molto e sapendo che avrebbe potuto fare di più.