L’epopea atalantina in Europa

Stagione 1987/88, l’anno dell’exploit in Coppa delle Coppe dei nerazzurri orobici, guidati da Emiliano Mondonico, che raggiunsero le semifinali di Coppa delle Coppe.

“L’Italia in Europa è Atalanta”. Stagione 1987/88, l’anno dell’exploit in Coppa delle Coppe dei nerazzurri orobici, guidati da Emiliano Mondonico, che raggiunsero le semifinali di Coppa delle Coppe. E’ passato un quarto di secolo dal raggiungimento di quel traguardo storico che permise ai bergamaschi di eguagliare il record del Cardiff City, relativo al cammino in Europa dei club non militanti nel rispettivo massimo campionato nazionale.

L’Atalanta era retrocessa nel maggio del 1987. Tuttavia, la doppietta “Campionato-Coppa Italia” del Napoli di Maradona permise agli orobici, finalisti nel trofeo nazionale, di ottenere il pass per la Coppa delle Coppe. Il presidente Cesare Bortolotti affidò la panchina ad Emiliano Mondonico, fresco di salvezza con il Como, con l’obiettivo di riportare subito in A i nerazzurri. L’impegno internazionale nobilitò l’annata atalantina.

L’esordio europeo, nella terra dei Galli, fu parecchio stentato e si concluse con una sconfitta di misura (2-1) ad opera dei dilettanti del Mertyr Tydfil, agevolati dalle autoreti di Icardi e Progna. Nel match di ritorno, la pratica gallese fu sistemata dai gol in avvio di Garlini e Cantarutti. Stessa musica nel turno successivo: sconfitta di misura fuori casa (1-0) contro i greci dell’Iraklion Creta, successo casalingo (2-0) e qualificazione al sicuro grazie alle reti di Nicolini e Garlini. L’Atalanta volò così ai quarti di finale mentre nel campionato di B si manteneva stabilmente in zona promozione. L’urna riservò agli orobici un avversario molto più ostico dei precedenti: lo Sporting Lisbona.

La presa di Lisbona

Il calendario complicò ulteriormente le cose, obbligando i nerazzurri a giocare in casa l’andata. A Bergamo, il 2 marzo ’88, venne confermata la regola del 2-0, con bis di Nicolini e Garlini. Un buon viatico in vista della trasferta al Josè Alvalade di Lisbona. Il match di ritorno, due settimane dopo, fu una battaglia che contemplò il lieto fine. L’Atalanta, ultima squadra italiana rimasta in corsa nelle coppe europee, affrontò la trasferta di Lisbona forte del doppio vantaggio dell’andata ma con una formazione in emergenza a causa delle assenze di Stromberg e Garlini, due pezzi fondamentali dell’undici di Mondonico.

Cascavel e Houtman mettevano i brividi. Ivano Bonetti garantì un’ottima copertura sulla fascia destra, limitando le folate dell’intraprendente Joao Luis. A Bonacina venne dato in consegna Brandao mentre Fortunato duellava a distanza con Ocèano. Isolato in avanti, unica punta, fu schierato Aldo Cantarutti. Tra i pali l’inamovibile titolare Ottorino Piotti, portiere affidabile e dall’elevato rendimento. Per l’estremo difensore fu una serata di straordinari. Dopo un quarto d’ora il primo intervento risolutore su un rasoterra dal limite, alla mezzora su botta di Duilio, respinta in ottimo stile dal portiere atalantino. I nerazzurri sfiorarono anche il gol con un calcio di punizione di Fortunato deviato da Bonetti. A metà gara il risultato rimase ancorato sullo 0-0.

Piotti respinse altri assalti portoghesi, compreso un salvataggio di piede su tiro di Oceano. Il gol portoghese arrivò al 66′: una conclusione sottomisura di Houtman che mandò in delirio il pubblico dello stadio Alvalade. Quando l’arbitro annullò il raddoppio di Jorge (carica sul portiere), la partita si fece tesa. Lo Sporting prese d’assedio la porta atalantina. In contropiede, Cantarutti prima sfiorò la rete poi fece centro, imbeccato da Bonetti. Scatto puntuale sul filo dell’off side, massima freddezza nel saltare in dribbling il portiere lusitano Damas e tiro a colpo sicuro nella porta ormai sguarnita. Parità ad otto minuti dal termine. Fu il gol della sicurezza.
«Quel favoloso contropiede sembrava non finire mai. Sono soddisfazioni…», racconta anni dopo Aldo Cantarutti, ricordando la splendida impresa di Lisbona. L’Atalanta staccò il pass per le semifinali. In tribuna, l’esultanza dei cinquecento tifosi orobici fu irrefrenabile, come quella dei cinquemila in piazza a Bergamo, davanti ad uno schermo gigante.

«Parlerete di Atalanta dei miracoli», affermò mister Mondonico negli spogliatoi, aggiungendo che l’obiettivo principale restava comunque il ritorno in A. Dopo aver fatto bene a Cremona e Como, il Mondo si preparava al tris in quel di Bergamo. Il cammino europeo esaltò i bergamaschi. Il sindaco Giorgio Zaccarelli promise uno stadio da 40 mila posti a sedere, il presidente Cesare Bortolotti sperava di avere 110 mila soci per portare un’intera città allo stadio.

Mondonico ripeteva una frase, diventata quasi il suo mantra in quella stagione: «Guai a farsi trascinare dalle facili illusioni, il calcio punisce i presuntuosi». Le critiche, dopo le sconfitte a Cardiff e Salonicco, erano solo un lontano ricordo. In quella stagione, i presunti “esperti italici” di football sbagliarono tutte le previsioni sul conto dell’Atalanta. Dopo le sconfitte contro i gallesi si parlò di “vergogna”, dopo il ko di misura in Grecia si suggerì una provocatoria “rinuncia” da parte degli atalantini. «Critiche che ci hanno forse aiutato a battere lo Sporting», chiosò Mondonico mentre i giornali parlavano di “Impresa storica” dopo il pari di Lisbona.

Un cinema cittadino, nel quartiere Longuelo, diffuse la partita sullo schermo gigante in un’atmosfera da coprifuoco. Al fischio finale, l’esplosione di gioia fu spontanea e bloccò le vie del centro fino alle due di notte. Sembrò di rivivere l’atmosfera del Mundial ’82. I monumenti vennero rivestiti di nerazzurro, in tanti si tuffarono nella vasca dei cigni al Teatro Donizetti, i clacson suonarono senza sosta. Allo scalo di Orio al Serio, dove l’Atalanta atterrò il giorno dopo, fu impossibile trovare un angolo per posteggiare.

La “Cenerentola” diventò una principessa, unica superstite in Europa del calcio italiano. Dalla Curva Nord si alzò il grido: “Solo noi, solo noi, in Europa solo noi”. I due “Man of the match” furono Cantarutti e Piotti: centravanti e portiere. Cantarutti, il più discontinuo in quella stagione del reparto offensivo, con il suo guizzo finale allo stadio Alvalade riuscì a non far rimpiangere l’assenza di Garlini. Piotti, dopo la non esaltante conclusione della sua parentesi milanista (Castagner gli preferì spesso Nuciari), era approdato a Bergamo nell’estate 1984, tornando subito ad alti livelli.

L’ex attaccante del Catania segnò il gol che evitò l’assedio finale, l’estremo difensore chiuse a doppia mandata la porta, salvando la squadra dalla capitolazione nel primo tempo in almeno tre circostanze, mantenendo a distanza di sicurezza lo Sporting e riuscendo a ritagliarsi quella parte di gloria quasi in disparte, destino di ogni portiere. Le parate di Piotti contribuirono notevolmente al prosieguo del cammino europeo degli orobici nella Coppa delle Coppe ‘87/88, memorabile per l’Atalanta. Il suo valore era emerso già ai tempi dell’Avellino, alla fine degli anni Settanta. Nel 1986, alla vigilia del Mondiale messicano, non pochi addetti ai lavori lo indicarono come probabile terzo portiere dell’Italia, dopo Galli e Tancredi. Tuttavia, il Ct Bearzot scelse l’interista Zenga.

Fine di un sogno

La favola nerazzurra in Coppa delle Coppe si concluse in semifinale, al cospetto dei belgi del Malines, poi vincitori del trofeo contro l’Ajax. All’andata, con seimila supporters al seguito, l’Atalanta perse di misura (2-1), subendo il raddoppio nel finale. Il gol di Stromberg, tuttavia, manteneva pienamente in corsa la squadra di Mondonico. La qualificazione rimase alla portata dei nerazzurri. Bastava anche uno striminzito 1-0 per eliminare i fiamminghi e staccare il biglietto per la finale di Strasburgo.

Il 20 Aprile ’88, il sogno svanì davanti ai 40 mila del vecchio Comunale. Quando Garlini superò Preud’homme, trasformando il penalty del vantaggio, i tifosi toccarono il cielo con un dito. Fu il palo a negare il raddoppio in avvio di ripresa su colpo di testa di Fortunato, imbeccato da un cross di Bonetti. Un segno del destino, purtroppo avverso. Non tralasciando un fallo, nettamente in area, ai danni di Stromberg, su cui il direttore di gara lasciò correre, al 56’ arrivò beffardo il pareggio di Rutjes, il marcatore di Garlini. La partita si complicò maledettamente. Poco dopo la mezzora, Emmers ribaltò il risultato con un rasoterra in contropiede, imparabile per Piotti. Il Malines mantenne l’imbattibilità esterna grazie ad una difesa elastica, tanta corsa a centrocampo e un giocatore, Ohana, dai buoni colpi in avanti. Addio sogni di gloria nerazzurri.

Il ricordo dei protagonisti

Glenn Stromberg:
“La partita contro il Malines l’ho rivista soltanto una volta. Ero curioso di capire se davvero quel fallo su di me era in area oppure no. Clamoroso. Almeno mezzo metro dentro l’area: con quel rigore saremmo andati in finale con l’Ajax. Eravamo rimasti i soli in Italia a giocarci l’Europa, quel giorno tutta la città si strinse intorno a noi e l’emozione era incredibile. Fantastico”.

Aldo Cantatutti:
“Eravamo in B, avevamo altri traguardi davanti a noi eppure ci siamo trovati a un passo da un sogno, certo una grande sorpresa, non era cosa di tutti i giorni che una squadra del nostro livello riuscisse a conquistare una semifinale europea. Nello stesso tempo dovevamo pensare a non fallire l’obiettivo che ci stava più a cuore, cioè tornare subito in A e quindi non era facile essere al massimo al mercoledì e alla domenica. Allora non c’era il turnover, chi c’era giocava e non ci tiravamo indietro”.

Valter Bonacina:
“L’immagine che ho davanti agli occhi? Certamente lo stadio pieno. Un colpo d’occhio sensazionale. Qualcosa di speciale, tutta Bergamo era vicino a noi. Chi ha avuto la fortuna di esserci porterà dentro per sempre qualcosa di davvero grande”.

Ivano Bonetti:
“Ho sicuramente dei bei ricordi di quella serata, peccato solamente per il risultato finale. Comunque ricordo bene la città di Bergamo magnificamente tutta nerazzurra. Sembrava una città magica, da pelle d’oca, uno spettacolo incredibile. Quella è stata una stagione indimenticabile e sono felicissimo di aver fatto parte di quell’Atalanta e di aver vissuto quei momenti”.

Ottorino Piotti: “E’ stata un’emozione incredibile, con lo stadio già pieno ore prima. C’era molta aspettativa dopo il 2-1 dell’andata. Il cruccio più grande per me è che mi è stata data la colpa per il gol del pareggio. Ancora oggi c’è chi mi dice: ‘E ma su quel gol…’. Ma più lo rivedo e più mi convinco che non potevo farci molto. Noi abbiamo fatto una partita meravigliosa”.

Costanzio Barcella: “Ho un ricordo stupendo. Già dal tragitto dall’albergo di Sarnico allo stadio capimmo che sarebbe stato qualcosa di straordinario: non c’era una ringhiera o un balcone senza una bandiera o qualcosa di nerazzurro. Non ce l’abbiamo fatta soltato per due gol un po’ strani, ma noi per un tempo siamo stati in finale”.

TESTO DI SERGIO TACCONE, autore dei libri “Quando il Milan era un piccolo diavolo” (Limina, 2009), “La Mitropa Cup del Milan” (Urbone Publishing, 2012) e “Milan Story” (Edizioni della Sera, 2013).