Turchia-Armenia: un calcio alla diplomazia

Le qualificazioni al mondiale 2010 hanno messo di fronte Armenia e Turchia. Dal pallone passa la distensione delle relazioni tra due nazioni attraversate per anni da odio e incomprensioni.


Il lungo cammino della Coppa del Mondo di calcio 2010 in Sudafrica inizia, come da regolamento, molto prima. Il 25 novembre 2007, per la precisione, giorno del sorteggio dei gironi di qualificazione alla fase finale. Il gran cerimoniere è sempre lui, il presidente della Fifa Joseph Blatter, il padrino del pallone. Un sorteggio a sorpresa. Da consumato attore gestisce la serata e la passerella di ex glorie del calcio, intervallate da qualche numero di intrattenimento, per sorteggiare i gironi che in tutto il mondo eleggeranno le regine che si sfideranno in Sudafrica nel 2010.

All’improvviso, senza che nessuno battesse ciglio, non abbondando gli esperti di geopolitica internazionale nel mondo del pallone, il delegato della federazione turca e di quella armena hanno un sussulto. Turchia e Armenia sono state inserite nello stesso girone. Non così facile come a dirsi, visto che per qualcuno è solo un gioco. Da anni i due paesi non hanno relazioni diplomatiche, le frontiere sono sigillate e roventi. La Turchia è stato uno dei primi stati, dopo la dissoluzione dell’impero sovietico, a riconoscere la neonata repubblica di Armenia, ma poi il grande freddo è sceso tra le rispettive diplomazie.

Prima la guerra del Nagorno-Karabach, impervia regione dell’Azerbaigian sulla quale l’Armenia rivendicava la sovranità. Nel 1991, crollata l’Urss e nate le due repubbliche, scoppiò un conflitto che durò fino al maggio 1994. Oltre 30mila persone persero la vita, circa un milione i profughi. Il cessate il fuoco pose fine alla fase acuta dei combattimenti, ma non portò a un accordo definitivo di pace. Il Nagorno-Karabakh è di fatto una repubblica indipendente, sostenuta militarmente dall’Armenia, ma il suo status non è riconosciuto dall’Azerbaigian e dalla comunità internazionale. Turchia compresa.

Come se non bastasse, dal giorno della sua indipendenza, l’Armenia coltiva un sogno: il riconosci- mento del genocidio patito dalla sua gente ad opera dei militari turchi al crollo dell’Impero Ottomano, durante la Prima Guerra mondiale. Secondo fonti armene, dopo il collasso della Sublime Porta, i militari turchi che preparavano la Turchia del futuro uccisero almeno un milione e mezzo di armeni, ritenuti collaborazionisti del nemico ed elemento estraneo al Paese. Per i turchi, invece, ci furono delle violenze indubitabili, ma non esisteva alcun disegno genocida e i numeri sono gonfiati ad arte dagli armeni.

Il capitano armeno Hovsepyan e quello turco Emre Belozoglu

Un bel clima, insomma. La Fifa, che tra sponsor e diritti televisivi ha ben altro a cui pensare, fissa gli incontri delle due nazionali: andata il 6 settembre 2008 a Erevan, in Armenia, ritorno il 14 ottobre 2009, a Bursa, in Turchia. Il destino, però, ama scrivere sceneggiature intrecciate e, manco a farlo apposta, proprio nell’anno che precede il primo incontro molte cose importanti accadono ad Ankara. La Turchia, infatti, astro nascente dell’economia mondiale, vuole entrare nell’Unione Europea. Gli stati Ue contrari sono tanti e accusano i turchi di violare i diritti umani dei curdi, di occupare militarmente la parte settentrionale di Cipro e di altre cose che la pongono lontano dagli standard europei.

Uno di questi problemi sono i rapporti con l’Armenia. Il presidente armeno è Serzh Sargsyan, un politico scafato. E lungimirante, tanto da intuire che le urne della Fifa, forse, gli hanno offerto un assist goloso. Non se lo fa scappare: nel mese di agosto del 2008, pochi mesi prima della partita contro la Turchia, invita il suo omologo turco Abdullah Gul ad assistere al match accanto a lui, nella tribuna dello stadio di Erevan. Ora Gul può rifiutare, dandosi la zappa sui piedi, mentre la Turchia cerca di piacere a Bruxelles, o cogliere a sua volta l’occasione. Gul non si fa pregare e, nonostante il furore della destra turca e del governo azero, accetta l’invito di Sargsyan.

Anche quest’ultimo aveva dato prova di coraggio, dando notizia della sua idea di invitare Gul a Erevan durante una visita ufficiale alla diaspora armena a Mosca. Tra mille polemiche, i due leader paiono decisi. Al punto che, in gran segreto, pare che delegati dei due paesi s’incontrino più di una volta – in gran segreto – a Berna per preparare la visita simbolica.

Il grande giorno arriva: lo stadio Hrazdan di Erevan è gremito in ogni ordine di posto. Fuori dallo stadio esercito e polizia sono ovunque. Gul, resistendo fino all’ultimo minuto a pressioni enormi in patria, ha confermato la sua presenza solo 48 ore prima del fischio d’inizio. Sugli spalti uno sparuto gruppo di tifosi turchi, spersi tra i 62mila sostenitori armeni, portano uno striscione: “E’ tempo per una fratellanza senza confini”.

Si temevano disordini e contestazioni e invece fila tutto liscio. Solo quando la banda attacca l’inno nazionale turco viene giù lo stadio dai fischi, ma si sono fischiati inni nazionali in giro per il mondo per molto meno. Gul arriva in tribuna e avanza verso Sargysian. Sorridono, si stringono la mano, si fanno fotografare assieme. Gul esulta due volte, per le reti di Tuncay e Senturk. Vince la Turchia 2-0, ma quello sembra solo un dettaglio.

La partita di ritorno è fissata per il 14 ottobre 2009, in Turchia. Potrebbe essere un’occasione per festeggiare, invece che una per sperare, come era stata la partita d’andata. Rotto il ghiaccio, infatti, Turchia e Armenia vanno come treni e per il 10 ottobre è annunciata la presentazione di protocolli d’intesa – ufficiali – tra i due paesi. Una specie di Road Map che garantirà, nel giro di un periodo più o meno lungo, la soluzione dei contenziosi tra i due paesi.

Il presidente Gul, sulla falsariga di quella che è ormai per tutti la ‘diplomazia del calcio’, invita il presidente armeno Sargysian ad assistere alla partita in Turchia al suo fianco. Il presidente armeno, come aveva fato Gul all’andata, fino all’ultimo non dà certezze e vincola la sua presenza all’effettivo passo avanti delle diplomazie.

Sembra una partita di calcio. Nessuno fa la prima mossa e, come direbbe un cronista d’antan, le squadre si studiano. Il 10 ottobre 2009, all’università di Zurigo, in Svizzera, è fissata la cerimonia della firma dei protocolli d’intesa. Usa e Svizzera mediano da mesi, ma le due delelgazioni tengono tutti con il fiato sul collo. A pochi minuti dall’orario fissato per la firma davanti ai cronisti, viene annunciato un ritardo per gli ultimi dettagli.

Tempi supplementari. Finalmente, dopo quattro ore di ritardo, viene firmato lo storico accordo sulla normalizzazione delle relazioni bilaterali tra Armenia e Turchia. Un elenco infinito di buone intenzioni e di tutto l’alfabeto del politichese, ma la firma c’è. Sargysian si può recare a Bursa, seguito da 3mila connazionali. La Turchia, anche questa volta, vince 2-0. I marcatori sono Altintop e Cetin ai quali, in carriera, non capiterà più di giocare una partita ‘storica’ davvero e non solo nella retorica del giornalismo sportivo.

Ma ad oggi la situazione non è molto evoluta. La diplomazia internazionale è stata, come sempre, rapita da nuovi scenari e tra turchi e armeni quasi tutto è rimasto alla fase dei buoni propositi. La Turchia, per la cronaca, non si è qualificata alla fase finale del mondiale, nonostante i sei punti raccolti contro l’Armenia. Una vittoria di Pirro? Presto per dirlo, ma soprattutto non è che il pallone possa risolvere tutti i problemi del mondo.

Testo: Christian Elia – Peace Reporter